Era un canto dolcissimo di culla,
silenzio e nulla per l’aria tutto intorno;
tenue contorno un volto di fanciulla
e poi fu giorno.
Riso e pianto, il germoglio della vita
stretto tra dita, tra le braccia al seno,
amore pieno, soavità infinita
tra paglia e fieno.
Un palpito di luce per la via,
rara armonia di pace, trascolora
nel cuore ancora quella gioia pia,
oggi, d’allora.
Non riesco a non fermarmi davanti al presepio, sacra rappresentazione certo, ma di un dramma, quello della vita. il tempo lineare, nella sua circolarità, ci permette di rispecchiarci, santo specchio dell’anima, in ciò che siamo e in ciò che dobbiamo essere. Tutto qui, forse. Altre questioni non mi pare di trovarne, così, come qualcuno avrebbe detto, «sedendo e mirando» (G. Leopardi, L’infinito, 4) davanti all’Ineffabile che si fa infans, letteralmente senza parola. Ecco, l’immensamente grande nell’immensamente piccolo. Appunto, come provavo…
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