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Non solo Kerouac: le donne libere della Beat Generation

Esiste un'altra Beat Generation, meno nota ai più​: quella delle donne che hanno preso parte al movimento culturale. I loro racconti e le loro poesie ci parlano di un forte desiderio di rivoluzionare la società; ci raccontano, quanto gli uomini, in modo crudo ed estremamente realistico, la realtà delle città americane; anche loro inneggiano alla libertà sessuale.

di Jenny Barbieri

La poetessa Hettie Jones

I famosi anni Cinquanta in America: boom economico, famiglie felici, belle case ricche di elettrodomestici. Ma anche il ricordo, ancora fresco, delle ferite della Seconda Guerra Mondiale, la guerra in corso di Corea e poi Vietnam, la corsa agli armamenti e la guerra fredda contro la Russia, la discriminazione razziale. Anni, dunque, di grandi contrasti, ricchi di dinamismo, ma anche velati da paura e insoddisfazione. In questo contesto, nasce uno dei movimenti culturali giovanili di maggior successo dell’epoca: la Beat Generation. Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso, Neal Cassady sono solo alcuni degli autori che hanno dato voce alla loro generazione: raccontano di un’altra società, non governata dal mito del progresso e del materialismo, consapevole anche degli aspetti più crudi della realtà, che vengono narrati con uno stile innovativo ed essenziale, e aperta alle nuove esperienze, date dalle droghe, da una sessualità alternativa e più libera, dal fascino delle religioni orientali.

Esiste, però, un altro beat, meno noto ai più: quello descritto dalle ragazze che hanno preso parte a questo movimento culturale. Anche i loro racconti e le loro poesie ci parlano di un forte desiderio di rivoluzionare la società, anche loro ci raccontano in modo crudo ed estremamente realistico la realtà, non sempre idilliaca, delle città americane, anche loro inneggiano alla libertà sessuale. Certo, per loro, deve essere stato ancora più difficile intraprendere questa strada; non scordiamoci, infatti, che in America, in quegli anni, come evidenziato, ad esempio, in numerose pubblicità, le donne erano per lo più dipinte come angeli del focolare, totalmente dedite alla casa e al soddisfacimento dei desideri del marito. Pensiamo, dunque, a quanto possa essere stato complicato rivendicare la propria libertà di donna, nonostante questo comportasse un isolamento sociale praticamente certo. Tutto ciò genera un contrasto ancor più percepibile, da cui scaturisce una tensione narrativa che rende queste opere uniche nel loro genere, al contempo simili e assai distanti da quelle prodotte da Kerouac & Co.

La poetessa Lenore Kandel

Ma, andiamo con ordine, iniziamo a conoscere da vicino alcune di queste scrittrici. A mostrarci chiaramente la difficoltà che una ragazza incontrava nel rendersi indipendente è Joyce Johnson, autrice di Minor characters, una raccolta di ricordi della sua vita accanto ai grandi della Beat Generation. I suoi scritti hanno riscosso un buon successo anche grazie al fatto che contengono una descrizione puntuale e nuova della figura di Jack Kerouac, con cui l’autrice ha avuto una relazione. Ma i racconti contengono anche molte informazioni sulla vita di una beatnik: “Negli anni ‘50 tutti sapevano perché una ragazza di buona famiglia se ne andava di casa. Il significato del furto di se stessa ai propri genitori era chiaro a tutti, esattamente come le cose che avrebbe fatto in quella stanza per conto suo. Nella 116° strada lo sapeva il custode. Aveva visto i miei movimenti con il carrello. Sparse tra i vicini la voce che la figlia dei Glassman era una «poco di buono».” Così Joyce ci descrive il suo arrivo in una casa nuova, un appartamento che aveva scelto qualche settimana prima e di cui non aveva parlato con nessuno fino al momento di trasferircisi. Sapeva benissimo che la sua decisione non sarebbe stata approvata dai genitori e dagli adulti in generale, persone cresciute in un mondo in cui non si poteva comprendere la volontà di una donna di vivere lontano dalla famiglia d’origine se non per formarsene una propria. In questo contesto la scelta di Joyce è indice di un grande coraggio; tuttavia, poche righe dopo, troviamo una frase che ci mostra come, anche le ragazze beat, fossero comunque influenzate dagli stereotipi della società in cui vivevano: “In realtà non avrei vissuto a lungo nella mia nuova camera. Solo fino a quando io e Alex ci saremmo sposati. […] Gli avrei dimostrato che ero indipendente, che da lui mi aspettavo veramente poco. […] Ma era per amore di Alex, non per me, che sarei stata indipendente”.

Hettie Jones: è uno dei minor characters di Joyce Johnson, una ragazza innamorata di un uomo di colore, soprattutto un’abile scrittrice. In How I became Hettie Jones: A Memoir, Hettie ci racconta uno spaccato della New York di quegli anni: il centro città è in continuo cambiamento, sempre nuovo, con molti nuovi locali in cui si suona una musica nuova, simile a una cascata di colori, la musica jazz. Nelle vie della città, i giovani si muovono in modo frenetico, cercando divertimento e distrazione, in un caos obliante: “Probabilmente ridevamo per cancellare gli anni cinquanta, il feretro della guerra fredda, la pioggia radioattiva – proprio allora ne parlavano tutti i giornali – che seminava morte sulle basi di sperimentazione del Nevada. Probabilmente cercavamo di scrollarci il tempo di dosso come meglio potevamo, fino a liberarcene completamente”. Ad accompagnare Hettie nelle vie di questa New York in continua evoluzione è il suo ragazzo, poi suo primo marito, Amiri Baraka, in arte LeRoi Jones. LeRoi è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta americano che, in quegli anni, aveva sposato il movimento beat; LeRoi era anche un uomo di colore. Una coppia interrazziale era ancora cosa rara a vedersi e ancora più difficile da accettare. Gli estranei vedevano solo due pelli di colore diverso e se ne indignavano, nonostante questa differenza non pesasse in alcun modo sui due ragazzi innamorati. Sempre Hettie scrive in proposito: “Ci crediate o no, la razza sparisce nell’ambito della casa – nel bagno, sotto le coperte, tra le cimici del materasso comune, negli occhi assonnati del mattino. Ci sembrava ridicolo poter essere qualcosa di più di quello che, semplicemente, eravamo noi due insieme”.

Questa ragazza, per amore, sfidò il razzismo e rivendicò con estrema decisione il suo diritto alla libertà personale e di scelta; tuttavia, anche in lei, è presente quel contrasto tra affermazione di sé stesse e paura di abbattere i tabù sociali: e così, nonostante la sua grande abilità, i suoi lavori rimasero nascosti fino al divorzio con LeRoi. Anche nella Beat Generation le donne non erano protagoniste, ma amanti, muse, compagne e Hettie rispettò questo ruolo, limitandosi a sostenere il percorso artistico del marito a scapito del proprio. Dopo la separazione, invece, decise di affermare se stessa anche in ambito artistico: “Senza un lui dentro casa c’era più spazio/tempo per lei e iniziai a ridefinire il modo in cui una donna può servirsene.”

Un’autrice che, invece, non si fece mai scrupolo di infrangere le regole sociali del suo tempo fu, sicuramente, Lenore Kandel. Nata negli anni ‘30 a New York, visse tra Los Angeles e San Francisco, entrò in contatto diretto con il mondo beat e fu persino immortalata da Kerouac nel ruolo di Ramona Schwartz nel racconto Big Sur. Lenore non si limitò mai nel raccontare la realtà che la circondava, quella che si viveva nei quartieri più poveri, frequentati da giovani in cerca di sé stessi e di un’identità collettiva ancora da delineare. Così, nelle sue poesie, non è insolito trovarsi davanti a versi come “holy needle / holy powder / holy vein” o ancora “god is a junkie and he has sold salvation / for a week’s supply”. Con uno stile altrettanto diretto, l’autrice ha indagato anche la sfera del desiderio femminile, rivendicando per sé e per tutte le altre donne il diritto al piacere sessuale e la consapevolezza della sua ricerca. L’eros è parte essenziale della vita di tutti noi, ma, ancora oggi, molte donne tendono a celare le proprie voglie, considerando più femminile il non indagare in maniera esplicita un’inclinazione del tutto naturale. Immaginiamoci, quindi, l’effetto di un simile incipit poetico negli anni Sessanta: “I want to fuck you / I want to fuck you all the parts and places / I want you all of me”. Lo scandalo fu immediato, tanto che The love book, una raccolta di quattro componimenti per un totale di ottocento versi, nel 1966, fu ritirato da tutte le librerie di San Francisco in quanto ritenuto colpevole di oscenità.

L’America moderna, l’America entrata nel mito attraverso vari film di successo, l’America aperta al progresso e progressista, l’America degli anni Sessanta non era pronta ad ammettere che una donna potesse essere emancipata, libera, indipendente, consapevolmente propensa all’amore in ogni sua forma, anche quando esso si manifesta come puro atto erotico. Ancora oggi, reperire le opere di Lenore Kandel, Hettie Jones, Joyce Johnson e di tutte le loro compagne, può rivelarsi assai complesso, alcune sono disponibili solo in lingua originale. Eppure sono letteratura, sono espressione di un movimento culturale di libertà e di ricerca di sé, non sono certo inferiori agli scritti di Kerouac, Cassady e compagni. Forse che, ancora oggi, per alcuni di noi, è difficile leggere una simile affermazione di libertà, soprattutto femminile? Forse che i tabù sociali su temi scottanti come aborto, libertà sessuale e libertà individuale, non sono cambiati tanto negli ultimi sessant’anni.

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