Cinema Letteratura

La spy story, anello di congiunzione fra il giallo e l’avventura. “I 39 scalini” di John Buchan

di Andrea Bricchi

Una rappresentazione teatrale della spy story

Fra i classici del giallo esiste un piccolo romanzo di John Buchan, scrittore e politico britannico vissuto a cavallo tra Otto e Novecento, che in realtà è da considerarsi uno dei testi fondatori di un sottogenere destinato a un singolare successo, quello delle storie di spionaggio.

All’inizio della vicenda troviamo il protagonista, Richard Hannay, fresco della sua esperienza in Sudafrica e in preda ora a una noia mortale nel grigiore britannico. Per sua fortuna, l’avventura chiama: scopre un intrigo internazionale volto ad assassinare un diplomatico greco in terra d’Albione. Il richiamo a Intrigo internazionale (1959) non è fortuito, perché I 39 scalini (o Il club dei 39; in originale The Thirty-Nine Steps), romanzo (1915) e film (1935, ma vanta due remake), costituisce il palinsesto per la futura sceneggiatura che Ernest Lehman scriverà per Alfred Hitchcock, per un film che a sua volta, nell’iconicità, sarà saccheggiata nella serie dei Bond movies.

Il protagonista si traveste, va in Scozia, si perde in aree remote (ecco riapparire l’avventura codificata), viene braccato da un aeroplano (vi ricorda qualcosa?), ruba veicoli (stratagemma ricorrente nel plot dell’uomo in fuga), decifra messaggi in codice (e i richiami qui sono principalmente a Poe e a Conan Doyle), fa scoperte decisive e tra sotterfugi e coincidenze incredibili la scampa in troppi casi per non far suonare straordinarie le sue gesta.

All’epoca de I 39 scalini ai primi vagiti, la spy-story è l’anello di congiunzione tra il mystery e l’action-adventure. Ma perché l’azione abbia inizio serve che l’eroe sia in qualche maniera posto sotto scacco. Ecco quindi che la situazione impossibile in cui si trova Hannay è favorita da due precondizioni: 1) non può recarsi subito dalla polizia perché ciò contrasterebbe i piani di chi vorrebbe cogliere i criminali con le mani nel sacco; 2) non ha conoscenze in Inghilterra alle quali rivolgersi per chiedere aiuto.

L’azione quindi parte e si svolge rapida, a ritmo serrato, con salti repentini da una scena all’altra, da certi personaggi, macchiettistici o caricaturali, ad altri, misteriosi o sorprendenti. Lo stile agile, scorrevole, leggibilissimo di Buchan è ottimamente al servizio del fortunoso svolgersi a rotta di collo delle imprese. Si realizza perciò in modo esemplare quanto, in un momento di riflessione sulla propria opera, l’autore fa dire ai suoi personaggi nel capitolo dell’«albergatore letterato» (il III): «Quel che vorrei, sarebbe vedere il mondo, viaggiare e scrivere libri sul genere di Kipling e di Conrad», afferma l’aspirante romanziere. E Hannay, di rimando: «Ho girato parecchio il mondo e sento che non disprezzerei un eremitaggio come questo. Credete davvero che non si possa incontrare l’avventura se non ai tropici? L’avventura! Chi sa che proprio in questo momento essa non vi sia più vicina di quanto immaginate». «È appunto quel che afferma Kipling [nella poesia Il romanzo portatomi dal treno delle 9 e 45]», gli risponde l’albergatore fornendo al suo interlocutore un autorevole beneplacito.

Ebbene, chi ha detto che l’Avventura con l’A maiuscola non sia possibile se non in paesi esotici? Le spy-stories – o più in generale le storie dell’uomo in lotta contro i pericoli per far fronte ai quali non bastano i canali tradizionali – provano che anche nel particolare universo fittizio potenziale delle nostre giungle occidentali, fra gli intrichi delle metropoli e gli intrighi di potenti o aspiranti tali, i pericoli possono essere terribilmente eccitanti per i lettori e per avventurieri in fuga dalla noia come Richard Hannay.

“I 39 scalini”, traduzione di Riccardo Ghiri, Collana MiniMammut n.182, Newton Compton, Roma, 2016

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