da redazione

La maleuforia è un sentimento che sublima l’incompleto, l’inappagato, il non consumato. Trova il suo compimento scoprendo la felicità nell’inquietudine. È disposizione innata dell’animo, desiderata e dolente, uno di quegli attimi che. Per Raffaele De Palma, adolescente cresciuto a Napoli tra gli anni Ottanta e Novanta, è ciò che permette di riconoscere i dissidi interiori, i momenti in cui conflitti, turbamenti e illusioni mettono in crisi le coordinate del suo essere. Per sfuggire alle angherie della nonna, Raffaele trova rifugio nel bordello di Donna Sofia dove, tra prostitute e femminielli, riceve insegnamenti per sopravvivere, suggerimenti che ne definiscono l’educazione sessuale e umana. Questa evoluzione passa attraverso la scoperta del proprio corpo e del suo vero nome, trasfigurazione verbale di una condizione dello spirito. Tra le mani di Donna Sofia, Cleo, Linda e il Cavaliere, moderno Pigmalione, Raffaele diventa per tutti la ragazza dal nome levigato, scivoloso, liquido: Lèmon.
Di seguito, l’incipit del romanzo su gentile concessione dell’autrice:
“Il bordello è pieno di persone, i volti ricamati d’ombra e luce di candele. Qualcuno sospira, qualcun altro canticchia una nenia. Intorno al mio letto ci sono delle sedie vuote, aspettano solo che. Il prete spretato bisbiglia orapronobis, scatti di polso agitano vento e ventaglio, un boa di piume sfarfalla, profumo denso dei mazzetti di fiori. Sta virando verso il rancido, come il sudore degli ospiti, come il mio corpo morto.
È notte nella Stanza dell’Attesa, le finestre spalancate, gli specchi coperti da teli scuri. Accanto a me un piattino con del pane cafone e un bicchiere d’acqua, cambiato ogni dieci minuti, nemmeno il tempo di lasciar scivolare una goccia di condensa. C’è premura in questo gesto, come una paura a contrariarmi offrendo una bevanda calda in pieno luglio.
Strati di fondotinta celano il pallore delle mie carni. Avverto sul viso le mani di Linda e Cleo che si preoccupano di sistemarmi il trucco. I capelli sono sparsi sul cuscino, le paillettes del mio vestito catturano fiammelle. Sento dire a Maria che sembro una madonna, un’immagine immobile su fondo candido – l’una l’eclissi dell’altra – con nient’altro in comune se non un’arrendevole predestinazione per certi tipi di passioni e tragedie.
La vera madonna, la santa di questo luogo, è di fronte a me, rinchiusa nella sua nicchia votiva. Una luce al neon tinteggia di blu il suo viso in estasi, dolente e beata per quella freccia conficcata nel petto. Blu sono anche i suoi palmi, i pizzi, i gigli, le statuine oscene. Conosco il suo nome.
Sbagliando qualcuno la chiama madonnadelcarmine, ma chi è poi questo carmine? Io qui ne ho conosciuto solo uno, un ometto che pareva un suricillo, le palpebre sottili e la giacca sempre chiazzata di sudore, veniva ogni lunedì pomeriggio e amava recitare la parte di quello a cui faceva schifo il cazzo, salvo poi prenderlo aprendosi come una conchiglia.
Conchiglie, perle di sperma, occhi appannati, bocche spalancate.
Ti saluto madonnadelcarmine, vergine protettrice delle anime del purgatorio, lascia spazio al veronome della santa, all’eletta custode delle puttane. Hanno dimenticato di coprirti con un telo, hanno pensato agli specchi ma non a te.
Fuori di qui c’è Porta Capuana, le sue zampe da pachiderma capovolto. Anche tu ti sei stesa, gigantessa di tufo, stanca del tuo stesso peso, hai preferito mostrare la pancia al cielo come me che mostro la pancia a questo soffitto carico di stucchi ammuffiti. Riesci a vedere se qualcuno sta venendo qui? Mia sorella, forse? Il Cavaliere, forse? Motorini ti ronzano intorno, fuochi d’artificio sfrigolano annunciando una prima notte di nozze, un battesimo, l’arrivo di una partita di coca giù al Molo del Carmine. Un altro carmine, ma senza conchiglie, senza altarini, imbiancato da cristalli di droga e sale.
Cerco altri nomi, altri santini, che dietro le aureole svelano una città frammentata come un puzzle a cui manca sempre un tassello, o forse eccede di due o tre.
Qui nel mio talamo di vetro qualcuno viene a cambiare di nuovo il mio bicchiere d’acqua. Sposto impercettibilmente la testa, riesco a vedere chi. Un lampo di capelli corvini, le punte che sfiorano la fiamma di una candela. Tra i seni s’incastra la croce di un rosario.
Guizzano le strisce di tessuto nero appese all’uscio: la speranza m’inganna, mi mostra una bambina con un lembo del vestito stretto tra i denti. Il viso è un piatto d’argento, nebuloso, i connotati cancellati. Cerco di trattenere la visione, ma al suo posto compare un corpo vero, quello di un uomo alto e distinto, un fazzoletto di seta lilla intorno al collo. Tra le mani, fiori sciolti dello stesso colore. Lo stomaco si annoda. Linda e Cleo interrompono la loro opera di bene, il profumo e il calore della stanza diventano insopportabili. Una ragazza dei Quartieri comincia a pettinarsi i capelli, la bellezza che esorcizza la morte.
«Andrea?» sento dire a Donna Sofia.
Le rughe nobili sul viso dell’uomo si contraggono. Sembra più vecchio, più forte e più triste. Tristetristetriste, recito nella mente, una fitta d’aguzza nostalgia mi inchioda al letto. Lui accusa il colpo, l’effetto coreografico e posticcio che la stanza traduce in corpi inusuali, in parrucche, tacchi alti, abiti dai colori sgargianti, essi stessi dei fiori, e visi sui quali è dipinta una felicità forzata.
Due sospiri, il mio e il suo, il primo silente, l’altro sonoro. La matrona gli va incontro, gli stringe un braccio, si parlano con gli occhi dicendo che sapevano che sarebbe finita così. Non vi abbattete, lo sapevo anch’io.”
L’autrice

Deborah D’Addetta, classe 1986, flâneuse, più napoletana che pugliese. Scrive, mangia e scatta ancora in pellicola. Adora i musei, i gatti sfinge, la letteratura sudamericana e ha un feticcio per gli spaghetti al pomodoro. Fa parte del collettivo Spaghetti Writers, recensisce libri per Critica Letteraria ed è contributor di Italy Segreta, Cibo Today e Mar dei Sargassi. Suoi racconti sono pubblicati su Blam, A4, Risme, Bomarscé, Super Tramps Club, Grado Zero, Fantastico!, Crack, Grande Kalma, In Allarmata Radura. Ha vinto il premio letterario “L’Avvelenata con Blam” 2021.