Quando il Mediterraneo rese indissolubile l’amicizia tra Keats, Shelley e Byron

di Marco Terribili

La casa-museo “Keats-Shelley House” a Piazza di Spagna, Roma

Tra il 1820 ed il 1821 i tre nomi più illustri del Romanticismo inglese vissero contemporaneamente in Italia. Le loro vite, profondamente diverse per indole e temperamento, si erano incrociate fino ad allora quasi solo in maniera epistolare. Fu il nostro Paese, e in particolare il Mediterraneo, a renderli una triade inscindibile, accomunata dalla gloria postuma e dalla morte prematura.

John Keats, al contrario di Shelley e Byron, non arrivò in Italia per motivi culturali, ma con la dubbia speranza che il clima temperato mediterraneo potesse mitigare i sintomi della tubercolosi che lo affliggeva e che due anni prima si era portata via il fratello Tom. John Keats era stato un medico prima che un poeta. Sapeva quindi che il suggerimento di passare l’autunno in un posto meno rigido della campagna inglese non sarebbe bastato a guarirlo. Tuttavia avrebbe quanto meno evitato alla sua adorata, Fanny Brawne, il dolore di vederlo morire. E così partì. Fanny, incontrata a casa di amici nell’ottobre del 1818, fu per lui una musa che influenzò fortemente la sua produzione poetica. Non è un caso, infatti, che gran parte delle opere principali del poeta (“Ode on a Grecian Urn”, “Ode on Indolence”, “Ode on Melancholy”, “Ode to a Nightingale”, e “Ode to Psyche”) siano datate 1819. Keats si imbarcò alla volta di Napoli nel settembre 1820 da Gravesend, dove il Tamigi sfocia nel Mare del Nord. Il viaggio fu lungo e burrascoso e a esso seguì un periodo di quarantena, che trattenne Keats a Napoli, per una sospetta epidemia di colera esplosa nel frattempo a Londra.

E il chiarore del sole abbraccia la terra, e i raggi della Luna baciano il mare. Per che cosa tutto questo lavoro tenero se tu non vuoi baciarmi?

John Keats e il pittore e amico Joseph Severn, che si era offerto di accompagnarlo in Italia, arrivarono a Roma a metà novembre, trovando un clima autunnale tutt’altro che temperato. Keats capì subito l’inutilità del suo viaggio. Dimorarono al civico 26 di Piazza di Spagna, oggi museo. I dolori che straziavano Keats lo lasciavano libero di riflettere sulla sua fine imminente. Dettò così all’amico le sue ultime volontà: mettere le lettere di Fanny (che non aveva avuto il coraggio di aprire) nella bara, e non scrivere né nome né data sulla tomba, ma solo un breve epitaffio che diceva: “This grave contains all that was mortal, of a young English poet, who on his death bed, in the bitterness of his heart, at the malicious power of his enemies, desired these words to be engraven on his tombstone: ‘Here lies one whose name was writ in water’” (“Questa tomba contiene i resti mortali di un giovane poeta inglese che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace un uomo il cui nome fu scritto nell’acqua””). John Keats morì il 23 febbraio 1821, dopo soli tre mesi dal suo arrivo a Roma. Aveva appena 26 anni. Il suo fidanzamento con Fanny Brawne rimase a lungo segreto poiché la famiglia Brawne non avrebbe mai approvato un matrimonio con un poeta così cagionevole e squattrinato. Nel 1878 però vennero pubblicate le prime lettere tra i due amanti. Belle e struggenti, in una di queste il poeta si stupisce di quanto il loro incontro possa averlo cambiato e dice: “Mi hai incantato con un potere al quale non posso resistere; eppure potevo resistere fino a quando ti vidi; e perfino dopo averti visto ho tentato spesso “di ragionare contro le ragioni del mio amore”. Non posso farlo più – il dolore sarebbe troppo grande. Il mio amore è egoista. Non posso respirare senza di te”.

La morte di Keats segnò in maniera definitiva l’animo inquieto e fragile del suo amico Percy Bysshe Shelley. Rinnegato dalla famiglia appartenente all’aristocrazia, cacciato da Oxford per le sue posizioni estreme contro la religione e la monogamia, col senso di colpa per un matrimonio naufragato e il suicidio dell’ex moglie, Shelley si era trasferito in Italia per ritrovare se stesso, insieme alla seconda moglie Mary Godwin (autrice di Frankenstein), alla sorellastra di lei, Claire, e ai rispettivi figli. L’Italia sembrava rasserenare l’animo turbolento di Shelley che in soli quattro anni, tra il 1818 e il 1822, dimorò a Venezia, in varie città della Toscana, a Roma, a Napoli e infine a Lerici: i continui spostamenti erano dettati dalla logistica di una famiglia numerosa e allargata, ma anche dall’inquietudine e dall’avidità dello scrittore di scoprire nuovi lidi, coste e spiagge. Il mare lo rinfrancava, più nello spirito che nel corpo, non essendo nemmeno capace di nuotare. Anche Shelley, come Keats, scrisse sulle coste del Mediterraneo alcune delle sue pagine più celebri: La maschera dell’anarchia, poema politico ispirato al massacro di St. Peter’s Field in cui le truppe britanniche repressero violentemente una pacifica manifestazione popolare, e Il Prometeo liberato liberamente ispirato alla tragedia del drammaturgo greco Eschilo.

Here lies one whose name was writ in water. (Epitaffio sulla lapide di John Keats)

Dopo un primo periodo di pace in Italia, però, l’animo di Shelley sembrò vacillare. Mary cadde in una profonda depressione dopo aver visto morire due dei suoi tre figli. Inoltre, Shelley si rese conto di quanto i suoi ideali di amore libero fossero di difficile attuazione: la moglie, depressa, viveva le relazioni extra-coniugali (a cui egli stesso la introduceva) come se fossero un dovere a cui adempiere, mentre la sorellastra di lei, Claire, non ricambiò il suo amore, preferendogli Lord Byron, da cui ebbe una figlia, Allegra. I critici credono che a Claire sia dedicata “La filosofia dell’amore” una delle più intense poesie di Shelley, in cui l’autore chiede alla cognata, che non corrisponde il suo amore: “E il chiarore del sole abbraccia la terra, e i raggi della Luna baciano il mare. Per che cosa tutto questo lavoro tenero se tu non vuoi baciarmi?”

Il mar Mediterraneo che sembrava placare la sua inquietudine lo uccise, nel 1822, in quello che venne raccontato più come un fallito gesto eroico che come un incidente nautico, visto che lo scrittore rifiutò ogni sorta di aiuto dai soccorritori accorsi nel golfo di La Spezia in burrasca per salvarlo, e procedette a vele spiegate verso l’inevitabile naufragio. Dopo tre giorni il Tirreno restituì il corpo trentenne di Percy Bysshe Shelley.

Sulla costa viareggina a cremarlo c’era Lord George Gordon Byron, che nella tasca della giacca di Shelley trovò un libricino di poesie di John Keats. Vedere il corpo di Shelley ardere e cremare provocò più rabbia che costernazione in Byron, che si tuffò nel mare, maledicendolo e prendendosela con le onde che si erano portate via il suo amico. Byron viveva in Italia da ormai sei anni, cacciato dalla camera dei Lord e dai salotti della Londra aristocratica per l’irriverenza nei confronti della Corona, nonché per la sua conclamata bisessualità. Aveva trovato il suo habitat ideale nella cosmopolita Venezia dove, dopo un secolo, era diventato l’erede inglese di Giacomo Casanova, non disdegnando amanti, vino e feste, ma tenendosi alla larga dai salotti letterari, colti e spocchiosi. Ad essi preferiva le camere di Palazzo Mocenigo sul Canal Grande, dove viveva, con 14 servi, 2 scimmie, una volpe e due cani da guardia. Nessuna compagna, almeno non stabile. Le storie su Byron diventano leggenda. Una di queste vuole che fu lui a coniare il nome “Ponte dei Sospiri”, riferendosi ai sospiri dei condannati a morte che passavano il giorno dell’esecuzione sul ponte che collega Palazzo Ducale alle le prigioni. Le sue doti di formidabile nuotatore gli conferivano una fisicità prestante e la fama della sua invincibilità in acqua nutriva ulteriormente il suo ego. Il suo stile di vita poco morigerato subì una lieve flessione solo quando si innamorò della giovane Teresa Gamba, già sposata col Conte Guiccioli di Ravenna, che ben presto divenne la sua amante e che lo indusse a trasferirsi in Romagna.

Da sinistra: Keats, Shelley, Byron

Qui Byron prese a interessarsi di politica, aderendo alla Carboneria, che in seguito ai moti del 1820 e del 1821 era molto attiva. La rapida successione di lutti che visse nel 1822, quando morirono prima sua figlia Allegra (avuta con Claire Godwin) e poi Shelley, lo gettò nello sconforto e lo portò ad accettare di partire per la Grecia e a sostenere le truppe elleniche nella guerra d’indipendenza contro l’Impero ottomano; una causa che, seppur nobile, non lo avrebbe altrimenti mai toccato. Così morì in Grecia, a Missolungi. Aveva trentasei anni e fu il più longevo tra i suoi amici poeti. Tutt’oggi in Grecia il poeta inglese viene ricordato come un eroe di guerra e il nome “Vyron”, “Byron” in greco, è un nome popolare tra i bambini maschi. Il corpo di Byron fu riportato in patria. L’aristocrazia inglese inviò le carrozze vuote al funerale, in segno di estrema vendetta verso il suo poeta esule e sovversivo. Il suo cuore però fu reclamato dai greci e sepolto a Missolungi. Shelley riposa invece nel Cimitero acattolico di Roma, per sempre vicino al suo amico John Keats. Parlare di uno di questi poeti romantici senza citare gli altri due è praticamente impossibile tanto forte quanto etereo fu il rapporto tra di loro, tanto breve quanto intenso fu il rapporto con l’Italia e col nostro mare.

Marco Terribili è nato il 31 Dicembre 1987, e per questo odia il capodanno. È cresciuto a Porto San Giorgio, per poi spostarsi a Bologna dove ha studiato Statistica e Ricerca Sociale. Lavora come statistico a Roma. Scrive di musica, letteratura, e di altre cose che fanno stare bene. (IG: https://www.instagram.com/marcoterrible)

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