Il corpo materiale quale custode di un sapere luminoso

di Cristi Marcì

Carl Gustav Jung

È possibile coniugare la dimensione quantistica con quella invisibile dell’anima? Esistono tante coscienze quanti sono gli infiniti linguaggi che ormai sono soppiantati dalla coscienza razionale. Attraverso questo articolo mi piacerebbe proporre una visione del corpo biologico e del corpo dell’anima come entità non separate bensì interconnesse e collocati in diverse entità spazio-temporali. La razionalità odierna della coscienza e la logica dell’inconscio dovrebbero invitare ciascun individuo a mettere in dubbio quanto di più intimo lo costituisce. Pertanto, quello che si vorrebbe proporre è una revisione delle energie che abitano e che troppo spesso riflettono il limite della razionalità. Facendo dell’invisibile una trama pronta a lasciare una traccia concreta anche nei luoghi che non sempre scegliamo di osservare.

Sin dai tempi antichi parlare di anima ha sempre sollevato numerosi quesiti, proposto approfondimenti e ricerche in merito che non sempre hanno permesso di approdare facilmente ad un sapere oggettivo e dal riscontro immediato. Eppure, questa semplice parola evoca ancora oggi nella coscienza collettiva e individuale immagini e rappresentazioni, in grado di coniugarsi con una dimensione sottile e per nulla circoscritta ad uno stile di pensiero comune. Nel corso dei millenni diversi popoli, tra cui quello Induista e Cinese, hanno da sempre condiviso e valorizzato la credenza secondo la quale l’anima, a prescindere da come venga percepita e rappresentata, possieda sia durante il corso della vita che dopo la morte una sorta di vero e proprio corpo sottile o “Subtle Body”.

Al contempo la cultura spiritualistica occidentale, alla stregua della sua gemella, ha avanzato diverse ipotesi circa la sua probabile esistenza supportata da numerosi casi di materializzazione; rispetto ai quali “fantasmi dalla consistenza vaporosa, simile al fumo” prenderebbero vita dal corpo materiale. Sottolineando così la compresenza di opinioni e rappresentazioni di natura archetipica della cui reale esistenza non sussistono prove al di là delle semplici testimonianze di natura parapsicologica. Tuttavia, in un interessante scambio di pensieri avvenuto tramite una lettera inviata allo psichiatra John Raymond Smythies il 29 febbraio 1952, Carl Gustav Jung ha posto l’accento sulla totale assenza di consapevolezza rispetto a quanto accada, prenda forma e si tramuti all’interno del nostro corpo.

Evidenziando nello specifico come l’uomo abbia di per sé poche informazioni coscienti e dirette circa quanto avvenga all’interno del proprio organismo. Secondo, infatti, il noto psichiatra svizzero proprio la medesima mancanza di consapevolezza chiamerebbe in causa la presenza di un fattore intermedio che sembrerebbe prendere vita attraverso un corpo sottile; il quale tenderebbe ad insinuarsi tra la nostra auto-percezione e il nostro corpo fisico.

Sulla base di quanto proposto dall’autore svizzero, Marie-Louise Von Franz postula viceversa come l’eventuale esistenza di un corpo sottile coincida o equivalga direttamente con quanto vissuto ed espresso dalla propria psiche. Ossia da quanto intimamente percepito entro i confini della nostra profondità. Ambo gli autori, offrono quindi una lettura dell’anima a partire dall’esistenza e dalla compartecipazione di emozioni differenti, pensieri intensi e immagini fantastiche volte a sottolineare come all’unisono il substrato inafferrabile che più ci contraddistingue si contrapponga all’Io oggettivo; razionale e ben distante da quel soffio intraducibile ma pur sempre capace di guidarci oltre la dimensione materiale.

Attraverso questa revisione dei codici della coscienza promossa dagli autori, l’anima sembra voler invitare ciascun individuo a riconsiderare il proprio modo di sentirla e percepirla, in quanto creatura vivente e sempre in sintonia con l’essenza che più la contraddistingue. Caratterizzata oltremodo da un movimento pronto a dispiegare e illuminare nuovi sentieri che altro non possiamo fare che “sentire salire e muoversi entro il nostro corpo”. Pertanto, grazie a questa cornice, diviene possibile ipotizzare come il concetto di corpo sottile possa coniugarsi con quella che Jung definisce la “psiche oggettiva”, connotata da uno stile espressivo pronto a manifestarsi in modo “aereo” e capace al contempo di rendere il corpo fisico irreale a seguito dell’intensificarsi del fattore psichico.

Sin dal periodo ellenico esponenti pitagorici, studiosi orfici e platonici insegnavano quanto l’anima possedesse e detenesse un suo corpo sottile, raggiante e luminoso, in grado di veicolarne le sue manifestazioni. In accordo con le testimonianze di Ierocle di Alessandria le antiche regole di vita pitagoriche erano finalizzate “a liberare l’anima dalla crassa materia e a renderla luminosa”, affinché potesse entrare in contatto con le essenze eteree degli dei. Facendo del suo invisibile soffio un ponte di unione tra la dimensione materiale e quella invisibile. Difatti in una delle sue opere (Il Fedro) Platone la descrive e la presenta “quale essenza caratterizzata di uno luminoso splendore”, ancor prima di iniziare la sua discesa nella “tomba del corpo”; in una crassa materia che rischierebbe di limitarne le potenziali e contraddittorie capacità espressive.

Tuttavia, il concetto di splendore impiegato da Platone, porterà con il passare del tempo i commentatori e/o esponenti neoplatonici a parlare e decantare un’anima adornata di una luce propria. Portando proprio questi ultimi a elaborare e a revisionare l’idea di un corpo fatto di luce; di un corpo sottile superiore e immortale. In accordo con quanto presentato sinora in un frammento superstite di Damascio viene presentata una nuova idea di anima capace di prendere congedo da una dimensione terrena razionale, limitante e racchiusa nei confini del mondo cosciente; prossima a volgere la propria luminosità verso uno spazio ed un tempo sconosciuti.

Avvolte da un involucro di fuoco, alcune con una purissima luce di plenilunio, che emette un mite colore continuo e uniforme. Altre hanno invece colori sfumati, sono coperte di macchie pallide come le bisce, altre ancora presentano invece leggeri graffiti. Questa pallidezza dipenderebbe dalle colpe morali commesse nella vita anteriore

L’anima, si legge nel frammento “possiede un certo veicolo splendente detto anche astrale che è eterno. Esso si trova nel corpo, o nella testa, o nella spalla destra”. Nel suo commento al Parmenide di Platone lo stesso Damascio afferma come la stessa anima raggiante addentrandosi entro i confini del corpo, diviene gradualmente oscura acquisendo sempre più quelle caratteristiche materiali dinanzi alle quali nonostante tutto viene conservata la propria identità (la propria luminosità). Inoltre, quanto di più affascina è constatare come questo “corpo raggiante e luminoso” non passi direttamente nel crasso corpo materiale, poiché in uno spazio intermedio sembrerebbe celarsi una sorta di spirito corporeo attraverso il quale l’anima stessa dona movimento al corpo. Permettendo la circolazione del sangue e il funzionamento degli organi sensori; ergendosi così a una sorta di quintessenza dei quattro elementi. Se il moto è orientato verso l’alto vengono prodotti contenuti psichici razionali, oggettivi traducibili in idee, viceversa se è orientato verso il basso vengono prodotte di contro immagini illusorie.

La mutevolezza dell’anima come sopra descritta vuole dunque riflettere quegli stati mutevoli dell’Io in grado di propagarsi anche attraverso il nostro materiale onirico. Al contempo volendo provare a rapportare la dimensione animica con la fine della vita biologica del corpo, Plutarco propone una lettura delle anime dei defunti come “avvolte da un involucro di fuoco, alcune con una purissima luce di plenilunio, che emette un mite colore continuo e uniforme. Altre hanno invece colori sfumati, sono coperte di macchie pallide come le bisce, altre ancora presentano invece leggeri graffiti. Questa pallidezza dipenderebbe dalle colpe morali commesse nella vita anteriore”.

Un ulteriore contributo deriva dalla figura di un altro autore neoplatonico (Filopone) che ha elaborato una teoria dell’anima ancora più articolata, secondo la quale quest’ultima comprenderebbe una parte pura che sale verso gli dei, e un eidolon, ossia un soffio privo di sostanza o un’ombra impura che scende verso l’Ade. L’anima pura razionale “è luce e si muove di moto circolare, ma se cede alla parte irrazionale e alle passioni si oscura e si muove in linea retta, si annuvola”. Favorendo in quest’ultimo caso l’ingresso in un regno “annuvolato” dove sono presenti anche i demoni, capaci di contagiarne l’essenza, ma non il suo contenuto più intimo, ossia il suo stato puro e luminoso. 

Oltre alla tradizionale suddivisione dell’anima in parti oscure e luminose Filopone propone una teoria dell’anima quadripartita rispetto alla quale l’uomo sembrerebbe possedere: un’anima razionale, separabile dal corpo e immortale, un’anima irrazionale e passionale separabile dal corpo ma non dall’anima razionale, uno spirito corporeo che sopravvive nel corpo materiale ma svanisce col trascorrere del tempo e infine un’anima puramente vegetativa che muore assieme al corpo. Quanto si vuole sottolineare è proprio come col trascorre dei secoli le diverse e variegate teorie neoplatoniche, alchimistiche ed ermetiche abbiano voluto valorizzare un punto indissolubile tra ciò che appare invisibile e intraducibile alla coscienza individuale e ciò che appare terreno e materiale. Cosicché tanto l’anima quanto il corpo non abbiano a presentarsi quali entità tra loro separate bensì come una molteplicità di livelli fra loro collegati in modo parzialmente continuo e solo in parte separabili.

Attraverso questa visione secondo la Von Franz è possibile far ri-emergere la credenza di una compresenza ed una molteplicità di anime propria di numerosi popoli primitivi. Entro questo orizzonte di pensiero la tradizione alchimistica si distingue dalle correnti filosofiche e religiose   per il fatto di sottolineare con più decisione la continuità fra i vari aspetti dell’anima e per l’idea che l’Opera e/o l’Opus degli alchimisti miri a unificare questi aspetti, includendo il più possibili gli strati più vicini alla corporeità. In rapporto con quanto proposto e descritto sinora, Jung ha voluto formulare la congettura secondo la quale nel più profondo dell’inconscio sia la dimensione spaziale sia quella temporale sembrino annullati e annullarsi, poiché a questo livello verrebbe a delinearsi un’eternità relativa e una relativa indistinzione dalle altre anime, quasi un esser Uno con esse. Un Tutto.

È luce e si muove di moto circolare, ma se cede alla parte irrazionale e alle passioni si oscura e si muove in linea retta, si annuvola

Una regione quella dell’inconscio che la mistica islamica celebra attraverso il nome di Hurqalya e che grazie all’opera letteraria di Henry Corbin valorizza il forte legame con questo unus mundus, così decisivo per l’uomo e che James Hillmann inquadra come obiettivo finale verso il quale mira l’intero processo che ad oggi definiamo Individuazione. Secondo, infatti, la visione comune di Jung e Krishnamurti la domanda principale si tradurrebbe in funzione di quale fine sia indirizzata la vita dell’uomo, se cioè egli sia rivolto all’infinito o al contrario verso qualcosa di limitato. Di contro l’illimitato e l’inconscio hanno un senso solo in quanto legati a una coscienza “altrimenti sarebbero per così dire perduti in se stessi”. Solo se sappiamo che l’essenziale è illimitato si può evitare di porre il nostro interesse in cose futili e in ogni genere di scopi che non sono realmente importanti.

Una nuova ipotesi di Jung

Provando a considerare l’ipotetica esistenza di un corpo sottile secondo la visione della Von Franz sarebbe opportuno supporre come il passaggio dal proprio corpo materiale (ricco di numerose manifestazioni energetiche) alla dimensione psichica avvenga in modo graduale, in quanto quello che ad oggi definiamo e cataloghiamo in energia fisica ed energia psichica, possano al contrario rispecchiare essenzialmente “aspetti di un’unica energia”.

In un dialogo con Raymond Smythies, Jung ipotizza e suggerisce la probabile esistenza di un corpo sottile entro cui la psiche andrebbe concepita come una intensità inestesa e non come un corpo che si muove nel tempo. Suggerendo in tal modo come la psiche salga da un’estensione minima ad una intensità infinita capace di derealizzare il corpo, nel momento in cui supera la velocità della luce. Da questa punto di vista il cervello potrebbe essere un organo commutatore in cui la tensione o l’intensità relativamente infinita della psiche viene trasformata in frequenze o estensioni percepibili.

Viceversa, l’assenza di percezioni di natura corporea di tipo introspettivo spiegherebbe e/o suggerirebbe una graduale intensificazione o psichizzazione direttamente proporzionale alla sua estensione. Rendendo l’energia luminosa che la contraddistingue un ponte di unione tra la propria massa e uno spazio minimo, ridotto dal quale prende commiato. Sulla base di questa ipotesi appena descritta l’anima si presenterebbe dunque sotto forma di energia in grado di passare in maniera graduale dal piano fisico misurabile a quello psichico non misurabile. Sotto questo profilo il corpo sottile rispecchierebbe quindi una forma di psiche ancora vicina al corpo dotata di una massa minima e di una estensione spaziotemporale.

Occorre dunque evidenziare come a tal riguardo la fisica moderna abbia dissolto in larga misura la nostra idea comune di realtà materiale. Grazie ai contributi di Fritjof Capra è possibile iniziare a rapportare la psiche ad una forma ancor più sottile e all’apparenza invisibile. Se infatti grazie ai suoi scritti la fisica moderna ha assunto un volto differente rispetto ai classici canoni di causa effetto ad oggi uno dei suoi maggiori contributi ripresi da Carlo Rovelli dimostrano non solo come la massa non presenti più un’unica sostanza materiale bensì come le particelle stesse risultino essere fasci di energia da concepire come strutture spaziotemporali a quattro dimensioni. Non più statici ma al contrario in costante evoluzione nello spazio-tempo.

Nello specifico le particelle subatomiche sono strutture dinamiche che possiedono un aspetto spaziale ed uno temporale; il primo le fa apparire come oggetti dotati di una certa massa, quello temporale invece come un insieme di processi dotati di un’energia corrispondente. Se quindi la materia può essere intesa sotto questa nuova chiave di lettura di tipo quantistica, l’idea di un possibile passaggio dallo stato corporeo/materiale a una condensazione o massima espressione di energia (non più priva ma al contrario ricca di estensione spaziotemporale) non è più impensabile.

In linea di pensiero con quanto sinora proposto l’ipotesi junghiana di un’unità di energia sia fisica che psichica diviene così rilevante che non risulterebbe improprio valorizzare quel legame invisibile tra la dimensione quantistica e la vasta simbologia presente nel mondo onirico, connotata peraltro da una moltitudine di elementi in grado di supportare l’idea di una dimensione invisibile eppure sempre in movimento. In una delle sue opere più importanti Von Franz valorizza difatti proprio la compresenza di elementi caratterizzanti la dinamicità e la mutevolezza dell’energia psichica, capaci di far emergere quale principale comune denominatore lo scorrere sempre più rapido del tempo. Il quale sembrerebbe assumere pian piano quella equivalenza traducibile in una crescita di intensità proposta da Jung. Tempo ed energia sembrano parimenti evidenziare un processo di trasformazione alchemica che sotto il profilo quantistico si traduce gradualmente in una dissolvente sospensione. In un allentamento ed un arresto progressivi, cosicché quanto accade appaia simultaneamente disteso in uno spazio infinito, non percepibile ad occhio nudo.

Così in uno dei suoi scritti Jung postula come la realtà psichica si situi ad una soglia di frequenza superiore a quella della luce, superando la velocità. In questo senso la luce sarebbe significativamente l’ultima manifestazione osservabile prima che la psiche stessa derealizzi (si distacchi cioè dal) corpo e viceversa la primaria e istantanea manifestazione nel momento in cui la psiche si incarni nel continuum spaziotemporale mediante degradazione della sua energia. Una finestra interpretativa simile a quella appena descritta è stata presentata dall’alchimista Gerhard Dorn secondo il quale verrebbe ad emergere una “finestra aeternitatis o spiraculum aeternitatis” che l’Opus alchemico è in grado di aprire all’individuo, liberandolo dalla morsa soffocante di una visione limitata dell’universo. Forse finanche troppo cosciente.

Particolarmente vicino all’idea di Jung è la visione del fisico David Bohm secondo cui l’ipotesi della indivisibilità dei fenomeni fisici, suggerita dal cosiddetto paradosso di Einstein (Podolski e Rosen), valorizza per l’appunto questo legame invisibile eppure compresente. Il seguente paradosso stabilisce che ove due particelle A e B già appartenenti allo stesso atomo e di cui si conosca lo spin, vengano osservate a grande distanza l’una dall’altra, una variazione nello spin di A comporta automaticamente una variazione corrispondente in B, senza che si possa chiamare in causa alcuna interazione diretta tra le particelle stesse. Quasi che il punto B sappia quanto stia accadendo al punto A.

Il fisico continua dunque postulando come l’universo fisico osservabile sia solo il risultato di un ordine sviluppato o dispiegato dell’essere, il quale dipenderebbe a sua volta da un ordine di tipo virtuale. I due movimenti coesistono in un olomovimento indefinibile, ossia in un dinamismo globale unitario. Pertanto, entrambi gli insiemi (dispiegato e virtuale), appartengono a un insieme più comprensivo e non concettualizzabile. Il mondo fenomenico, cioè quello accessibile ai nostri sensi è il mondo dispiegato: è quello che la nostra coscienza percepisce o meglio che attraverso la nostra coscienza si attualizza. Materia e coscienza hanno in comune il mondo dispiegato, ma poggiano entrambe su un ordine virtuale di dimensione superiore. Quello che osserviamo come movimento temporale è propriamente la co presenza di più fasi dell’ordine virtuale.

In accordo con la visione del fisico e più precisamente con la sua idea di “implicate order” Jung delinea un modello proiettato dell’inconscio collettivo; la sua teoria si presenta insomma come un tentativo di prospettare l’unità psicofisica dell’essere. Lo sfondo di questo essere è come sottolineato da Bohm una riserva infinita, un mare di energia nascosta in profondità dietro o sotto la nostra coscienza dispiegata nello spazio-tempo.

La nuova visione cosmologica di Bohm può essere ottimamente accostata all’ipotesi junghiana di un’energia unica che sul piano fisico appare dispiegata nel continuum spazio-temporale, mentre sul piano psichico coesiste con la prima come pura intensità virtuale atemporale e a-spaziale. Anche altri fisici avanzano speculazioni simili circa l’esistenza di un ordine psicofisico unitario. Capra paragona difatti la concezione odierna della materia quale danza energetica alle idee del Tao e basandosi sui problemi sollevati dalla teoria dell’informazione suggerisce come l’universo indagato dai fisici potrebbe non essere il tutto bensì presagire l’esistenza di un altro universo psichico di cui l’universo materiale rappresenterebbe solamente un doppio passivo e parziale; l’universo psichico sarebbe dunque in-temporale ed esteso e conterrebbe un sapere transpersonale come quello attribuito da Jung all’inconscio collettivo. Grazie a questa logica imprevedibile di tipo quantistica ad oggi non è da escludere l’idea di uno sfondo cosmico psichico e materiale entro il quale tanto la materia cosmica quanto l’inconscio collettivo sarebbero aspetti di un’unica realtà. Un tutto.

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