Fuggire dal 25 aprile come se fosse un virus

di Giulio Cavalli

Ci sono malattie che si presentano puntuali, ogni anno. Per Giorgia Meloni e i suoi, l’allergia al 25 aprile è cronica. Quando arriva la Liberazione, c’è sempre un biglietto prenotato, una missione inderogabile, un viaggio che chiama. Quest’anno è l’Uzbekistan. Giusto il tempo di una cerimonia all’Altare della Patria, poi via, lontano, a Samarcanda, fino al 27 aprile. Un’assenza calibrata per evitare che il fastidio dell’antifascismo possa durare più di qualche ora.

Il presidente Mattarella, invece, sarà a Genova. Non fosse bastata la sua recente degenza ospedaliera, qualcuno aveva temuto di dover assistere a un 25 aprile officiato da Ignazio La Russa. Ma la Costituzione non prevede supplenze di comodo. La Russa, comunque, la sua parte l’ha già fatta: l’altro giorno era a Primavalle, a commemorare l’attentato del 1973. Un omaggio strumentale, tanto che Giampaolo Mattei, fratello delle vittime, ha denunciato la speculazione elettorale. Loro, i fascisti, si raccontano martiri per riscrivere la storia: trasformano carnefici in vittime, dissolvono le trame golpiste, dimenticano le aggressioni. Così, il 25 aprile si trasforma da celebrazione della Resistenza a terreno minato da narrazioni tossiche.

Due anni fa La Russa si rifugiava a Praga, l’anno scorso scompariva dopo il Vittoriano. Lollobrigida, quando contava ancora qualcosa, spiegava che la parola antifascista “ha portato a morti”. Fratelli d’Italia è questo: la destra anti-antifascista. In bilico tra negare e riscrivere. Intanto le opposizioni chiedono una cerimonia solenne al Senato. La Russa tace. Ma loro scappano: perché il 25 aprile, per chi ha certe radici, resta il giorno più difficile dell’anno.

Buona Festa della Liberazione dal nazifascismo.

Articolo apparso in origine sul numero di Left del 22 aprile 2025.

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