
Un mattino dei primi di marzo, già tiepido e terso, il signor Raffaele Savonardi, uomo a cavallo tra i quaranta e i quarantuno, dall’umore imperturbabile, si avviò con passo frizzante lungo le vie di Manoppoli, in provincia di (ma il nome della città è forse meglio non precisarlo per non incentivare un turismo selvaggio). Dopotutto, ogni città necessita della sua giusta dimensione, e pretende la sua privacy, e il signor Raffaele, quel giorno, rifletté quanto si stesse bene a passeggiare lungo i marciapiedi tranquilli, le vie poco trafficate dalle auto, con un bel mare azzurro sullo sfondo; cose che non avrebbe cambiato per nessun’altra città al mondo.
Nonostante i propositi e la sensazione di una giornata propizia, appena uscito di casa con il desiderio di quella sgambata corroborante, Raffaele incappò in un piccolo disastro: il cane della vicina, un chihuahua con l’indole di una tigre inferocita, di nome Sandokan, aveva provato ad azzannarlo a un polpaccio, pur senza successo, schivato per miracolo, ma la belva gli aveva strappato l’orlo dei pantaloni. Raffaele fece segno alla vicina, ricolma di bigodini sull’uscio della sua villetta, che era tutto a posto, e si disse che quello non poteva che essere l’unico contrattempo di una giornata meravigliosa. Come spesso accade, però, sono proprio queste le premesse che il destino si diverte a controvertere.

Solo un chilometro più avanti, rimboccato l’orlo scucito dei pantaloni e proseguito lungo la via principale, nonostante avesse piovuto una settimana prima, una grondaia malferma aveva deciso di liberarsi di un residuo d’acqua mentre il signor Raffaele le transitava sotto, inzuppandolo dalla testa ai piedi. L’acqua finì ovunque, dentro al collo della camicia e giù lungo la schiena, dentro a mutande, calzini e scarpe. Raffaele, con la pazienza che solo un animo come il suo possedeva, si asciugò come meglio poteva con un fazzoletto di stoffa praticamente inutile. «Con questo bel sole mi asciugherò in pochi minuti,» si disse, «giunto all’angolo della piazza, avrò già i capelli e anche gli abiti asciutti,» stirandosi coi palmi la giacca di lino.
Le discesa stretta e acciottolata di via Marco Polo sbucava sul mercato rionale, un evento che Raffaele amava per la vivacità delle compravendite e il profumo di pane caldo e frutta fresca. Passato il banchetto dei kiwi, un fruttivendolo distratto gli rovesciò addosso un cesto di fragole, che rotolarono ovunque come biglie impazzite. Raffaele, impacciato com’era, tentò di prenderle tutte al volo, non facendo altro che spiaccicarsele sul vestito candido; eppure, il venditore, con uno sguardo torvo che concentrava anni di insoddisfazioni personali inespresse, cominciò ad accusarlo di volergli rubare la mercanzia. «Io? Ma… ma… ma… Rubare? Vuol scherzare?» disse Raffaele, con la voce che gli si spegneva in lacrime. Allontanandosi con le spalle curve, come se non bastasse, schivò una bicicletta lanciata a tutta forza, i cui freni avevano deciso di non funzionare all’ultimo momento. Il ciclista, urlando qualcosa che il signor Raffaele non colse — ma che sembrava tutt’altro che un complimento — gli era passato sopra ai mocassini tirati a lucido con entrambe le ruote. Ormai un insieme di tessuti sgualciti, scarpe sudicie e umore in frantumi, il signor Raffaele ripiegò verso il suo caffè preferito.

La giornata, da quel momento, aveva deciso di cambiare registro. Nella calle riconoscibile dall’insegna variopinta di un caffè storico, una graziosa donna, con un sorriso sottratto a un dipinto rinascimentale, gli si era avvicinata. A vederlo conciato in quel modo, la donna azzardò timida: «Mi scusi, mi faccia indovinare, lei dev’essere un artista,» e subito aggiunse, porgendogli un volantino, «oggi si terrà una mostra d’arte gratuita nella galleria qui accanto. Sarei lieta d’invitarla.»
Il signor Raffaele, ancora incredulo che qualcosa di piacevole potesse accadergli quel giorno, accettò. Così, varcata la soglia della galleria, si era trovato di fronte a un mondo che sembrava fatto apposta per risarcirlo di tutte le piccole tragedie precedenti. I colori vibranti delle tele, i giochi di luce che si riflettevano sulle pennellate a olio, l’atmosfera di calma e contemplazione: tutto lo avvolse come un abito nuovo e fresco di bucato. E proprio lì, davanti a un quadro che rappresentava un cielo in tempesta che si squarciava e faceva filtrare il sole primaverile, il buon Raffaele si accorse di avere accanto la giovane donna a fargli da guida. Parlarono a lungo d’arte, della città, di quello che era successo a entrambi fino a quel momento. E quando, due ore più tardi, erano usciti insieme dalla galleria, il signor Raffaele si rese conto che, inspiegabilmente, la sua giornata si era trasformata. Le fragole, la bicicletta, il cane: tutto sembrava lontano anni luce, il ricordo spento di un vecchio sogno.

Mentre il sole cominciava a nascondersi dietro ai tetti di tegole blu, Raffaele tornava a casa con una leggerezza che non provava da anni, e la promessa di Veronica di rivedersi nell’indomani. Certo, i pantaloni erano da riparare, la giacca rovinata irrimediabilmente, ma nel cuore gli palpitava qualcosa di nuovo. Perché, come spesso accade nella vita, sono proprio le sventure che ci conducono, passo dopo passo, verso la fortuna più inattesa. Con un sorriso solo accennato, Raffaele si disse che forse, dopotutto, la città – o la primavera – aveva deciso di fargli un regalo. E il destino, per una volta, sembrava non voler controvertere le sue premesse.
