di Alberto Schiavone
Nel gennaio 2017, a Milano, dove si vende il venti per cento del totale dei volumi in Italia, la quantità dei libri di Giovanni Arpino in giacenza nelle librerie cittadine è di circa trenta pezzi. Arrivano a sessanta comprendendo il canale dell’usato. L’indagine, allargata alla città adottiva dello scrittore, Torino, raddoppia il risultato. Nel caso di quest’ultima sono le bancarelle dell’usato a possedere il maggior numero di copie dei libri di Arpino. Il totale approssimativo dei punti vendita delle due città è di circa centocinquanta librerie. Se ho bucato esempi virtuosi, me ne scuso.
Questi numeri non per aprire un discorso piagnucoloso sulla profondità dei cataloghi delle librerie, ma soltanto per riportare un dato feroce eppur veritiero, testimone di un oblio, di una dimenticanza: Giovanni Arpino non si legge, non si legge più, nonostante parliamo di un autore in grado di vendere centotrentamila copie nel solo anno di uscita de “La suora giovane”. Quello che, lo dichiaro in principio, considero uno dei massimi scrittori italiani in assoluto, è sparito. […]