di Enrico Mentana

Per essere molto chiari: potremmo passare molto tempo a raccontarci che cosa avrebbe meritato di orribile Totò Riina per tutto quello che ha fatto e deciso da capo di Cosa Nostra. Potremmo evocare tutte le morti che ha provocato, tutte le vite che ha segnato, tutto il male che ha portato alla Sicilia e all’Italia. Ma, appunto, siamo in Italia, uno stato di diritto, quello in cui i cittadini magari odiano i politici ma amano tantissimo la Costituzione. E quella Costituzione parla chiaro, e ci ricorda quello che dovremmo sapere già da soli, che il diritto non è vendicativo, ma severo. E l’articolo 27 ci spiega che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.
Perfino Totò Riina, che ha fatto sciogliere bambini nell’acido, che ha fatto saltare in aria con uomini e donne della scorta Falcone, e sua moglie Francesca Morvillo, e Borsellino, che ha fatto uccidere il generale Dalla Chiesa e sua moglie, e mille altri orrori, perfino questa impersonificazione del male ha avuto diritto al rispetto delle leggi. Ma senza sconti, senza scarcerazioni o domiciliari. Senza furbizie. Con la forza del diritto. Come per ogni ergastolano di cui è possibile vedere il vero approssimarsi della fine, si preparò il suo trasferimento presso i suoi familiari. Ma fino a quel momento non è nemmeno da mettere in discussione la prosecuzione del 41 bis. Per rispetto di chi è caduto, di chi lo ha combattuto, e di tutti noi. La nostra forza è la legge, non qualche sgangherata riedizione in chiave elettorale del codice di Hammurabi.