di Terry Passanisi
Come recita il famoso adagio: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Anche se, più che da attribuirsi al Voltaire reale, la frase sarebbe stata detta dalla sua incarnazione letteraria in un romanzo della scrittrice Evelyn Beatrice Hall, questo è il bel principio che ha fatto da cornice alla civile discussione avuta qualche giorno fa su Facebook con uno dei Social media manager di Medici Senza Frontiere. Ha tenuto a rispondere con grande precisione esaustiva alla critica, se non altro alle mie perplessità fisiologiche che collimavano, e quindi si rafforzavano, con l’editoriale di Marco Travaglio apparso sul Fatto del 2 agosto scorso, che ho mosso al rifiuto della ONG di sottoscrivere il decalogo “Minniti”, redatto per far fronte all’emergenza umanitaria nel Mediterraneo e allo spargimento di sangue e disperazione conseguenti, sottoscritto dalle maggiori organizzazioni umanitarie operanti in quella zona. Riporto lo scambio di vedute, affinché faccia da specchietto per chiunque desiderasse farsene un’opinione più precisa:
TP: “Mi auguro che anche Medici senza frontiere, la ONG di cui mi sono sempre fidato di più, grazie alla serietà professionale e umana che attribuisco a Gino Strada, sottoscriva infine il decalogo Minniti, comprenda che la sola cosa che ci distingue dai “cattivi” è agire rimanendo pienamente nella legalità, che lo stato italiano fino a prova contraria è uno stato democratico e, per tanto, chi non ha nulla da nascondere deve, coerentemente ai propri principi, rispettare quella che è la legge.”
MSF: “Ci teniamo a ribadire che in nessun caso il non aver firmato il codice, significa voltare le spalle allo stato Italiano.
Sin dall’inizio delle nostre attività di ricerca e soccorso in mare abbiamo sempre rispettato le leggi e il coordinamento della Guardia Costiera Italiana e continueremo a farlo.
Ci rendiamo conto che le nostre scelte rischiano di apparire più ideologiche che concrete, ma se ci segui da tempo saprai che ogni nostra scelta ha l’obiettivo di continuare a salvare vite umane e farlo pensando all’incolumità di tutti i nostri operatori e beneficiari in tutto il mondo.
Da questa esigenza nasce la necessità di non poter accettare armi a bordo. Noi siamo favorevoli all’accesso a bordo delle nostre navi di funzionari della polizia giudiziaria e a collaborare con le autorità italiane. Quello che non possiamo fare è accettare la presenza di armi a bordo. Non possiamo accettarle sulle nostre navi, così come non le accettiamo in nessun altro nostro ospedale nel mondo: la politica “no-armi” viene applicata nei circa 500 progetti in tutti i quasi 70 paesi in cui lavoriamo ed è questa scelta che ci consente di rimanere neutrali e imparziali anche in contesti difficili come l’Afghanistan, il Congo, Haiti.
Un altro punto che ci ha impedito di sottoscrivere il codice è quello sulle limitazioni al trasbordo da nave a nave. Questa limitazione riduce l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare poiché si crea un sistema di andata e ritorno delle navi di soccorso verso i luoghi di sbarco che ridurrebbe l’efficacia delle azioni di salvataggio. Il nostro primo obiettivo, invece, è salvare vite umane. Ti invitiamo a guardare questo video con le spiegazioni del nostro direttore: https://www.youtube.com/watch?v=1VVouMjhPxo“
TP: “Gentilissimi; vi ringrazio per la premurosa ed esaustiva risposta. Come detto, comprendo perfettamente la coerenza con i vostri principi. Nessuna accusa gratuita e pretestuosa da parte mia, naturalmente, come avrete notato. Un appunto; uno sprone, per comprendere assieme a voi che in una situazione apocalittica, in preda al delirio, cercare una via, che a mio avviso è quanto di meglio si possa chiedere allo stato attuale delle cose, è quantomeno necessario e costa anche dei grandi compromessi. Di certo migliorabile, questa via, se solo si sbloccasse l’impasse dell’indisponibilità di altri porti extra-italiani. Mi chiedo, comprendendo perfettamente per quale motivo quei due punti non condivisi vi abbiano fatto desistere dalla sottoscrizione, se non fosse possibile aderirvi per la bontà degli altri e procedere con quelle buone regole assolutamente necessarie. Sono un pacifista convinto quanto voi, e mi scuso per il ragionamento dozzinale, ma da che mondo è mondo un rappresentante delle forze dell’ordine interviene e svolge le sue mansioni armato. E se dovesse doverle svolgere per potenziali motivi – magari fondati, quando e se – dentro casa mia, metaforicamente parlando, non potrei pretendere il contrario. Mi sfugge se sia o meno in vostro potere pretenderlo, non conosco così bene i regolamenti specifici delle ONG, non so se questi vi rendano in qualche modo “territorio neutrale”. Per tanto, resto convinto che il decalogo Minniti sia un buon punto di partenza a cui sarebbe stato meglio aderire; e che, anche, non vi avrebbe esposti allo sporco gioco delle parti, demagogico e pretestuoso di alcuni piccoli esponenti politici in cerca di notorietà e consenso a cui, purtroppo, finite per prestare il fianco. Confidando sempre nell’onestà del vostro inestimabile lavoro umanitario, vi auguro di svolgerlo sempre nel migliore dei modi. Dirvi grazie sarà comunque sempre troppo poco.”