di Corrado Premuda

«Che metterai nel panierino, mamma?»
«Una pollastrina arrostita, una torta di pere, un vasetto di miele e un pane, il buon pane che fa crescere le bimbe savie.»
La comarina grassa e golosa protagonista della storia Pan di fate di Carola Prosperi storce il naso quando la mamma le elenca il menù del pranzo che porterà a scuola: lei, piccola e vorace, non lo può proprio soffrire il pane.
Così il primo giorno la pagnotta finirà nello stagno delle oche, poi nel trogolo dei maiali, poi nella cuccia del cane, perché la bambina disprezza a tal punto il più semplice degli alimenti che non lo vuole neanche vedere. Il quarto giorno, rincasando, ad attenderla non c’è solo la mamma ma anche una brutta vecchiaccia, comare Carestia, che si è seduta sul camino. Durante la permanenza della sgradita ospite, tutte le leccornie di un tempo non sono più disponibili: il solo cibo rimasto nella madia è il pane. La bambina corre ad addentarlo ma, poiché lo aveva ripetutamente disprezzato e rifiutato, adesso il pane non si lascia mangiare da lei e sparisce.
L’unico modo per non far morire di fame la piccola è rivolgersi alle fate: solo il pan di fate può entrare nella bocca di una creatura così capricciosa. Ma per realizzare questa pagnotta speciale, la fata Fornaia chiede alla bambina di recuperare i tre panini che quest’ultima aveva gettato per spregio agli animali prima dell’arrivo della Carestia. La povera affamata vince la repulsione e raccoglie tutto il cibo scartato: con quelle croste ammuffite la fata prepara un panetto che la piccola trova bianchissimo, morbidissimo, saporitissimo, anche se è nero come la terra, duro come la pietra e sa di melma. Ma la prova è superata e da quel giorn[…]