Talvolta le quarte di copertina si rivelano ingannevoli, ma nel caso di questo libro la quarta è così precisa da risultare più efficace di qualsiasi recensione. Basta dare un’occhiata alle parole scritte sul retro deI ventitré giorni della città di Alba (Einaudi, 1992) per cogliere l’essenza dei dodici racconti di Beppe Fenoglio e per provare il desiderio di leggerli:
Sono storie partigiane trattate con piglio disincantato, antieroico, talora epico-burlesco; storie di Alba e delle Langhe, vicende sanguigne e beffarde, drammi di miserie antiche e speranze impossibili. Fenoglio scrive proprio per penetrare il “mistero” della spietatezza dei rapporti umani: con quel suo linguaggio asciutto ed esatto, solidamente impastato di gergo dialettale (…).
Chapeau. Potrei anche chiuderla qui e ritirarmi in una stanzetta a rodermi il fegato, perché non sarò mai in grado di scrivere niente di meglio. Come resistere al richiamo del termine antieroico, che rimanda alla decisione…
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