Letteratura Recensioni

L’arte della gioia, l’autodeterminazione femminile di Goliarda Sapienza per la cultura e la libertà

La vicenda editoriale del romanzo è segnata dal rifiuto della gran parte degli editori italiani: la prima pubblicazione, postuma, si deve al marito Angelo Pellegrino che nel 1998 ne stampò pochi esemplari.

di Nicoletta Vaccari

Una foto giovanile di Goliarda Sapienza

“Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.

Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel «mio» contesto.”

Modesta (che nome crudele!) è di umili origini, ma di natura tutt’altro che accondiscendente e remissiva, è sfrontatamente viva, curiosa, fiera, determinata e sensuale. Nasce il 1° gennaio 1900 in una casa poverissima nella campagna siciliana, dove vive con la madre e la sorella gravemente malata (probabilmente affetta dalla Sindrome di Down) che spesso grida per ore chiusa in uno stanzino. Ancora bambina viene violentata e derisa per il suo dolore dal padre marinaio, ritornato a casa “da chissà dove”: mentre il sangue le cola dalle gambe, Modesta fissa una candela, un incendio ne divampa, la “casupola” dove vive prende fuoco e la famiglia rimane uccisa. Orfana, viene accolta in un convento, dove precocemente conosce l’odio e l’insofferenza generati da una vita di restrizioni fisiche e formative e la potenza delle pulsioni intellettuali e dell’erotismo.

E ora che avevo ritrovato l’intensità del mio piacere, mai più mi sarei abbandonata alla rinuncia e all’umiliazione che loro tanto predicavano. Avevo quella parola per combattere. E col mio esercizio di salute – ormai lo chiamavo così dentro di me -, nella cappella col rosario fra le dita ripetevo: io odio.

Ponderando il suicidio, manomette una ringhiera traballante, la madre superiora “protettrice” muore e Modesta si ritrova in una famiglia della nobiltà siciliana, fra libri e agiatezze. Donna, isolana, eccentrica e immorale secondo l’etica comune agisce e vive per ribaltare del tutto la sua condizione. Grazie alla sua intelligenza, al suo fascino e a un matrimonio di convenienza (con il principe Ippolito, affetto dalla stessa sindrome della sorella, caso che le permette di essere la sola in grado di affrontarlo con umanità), unicamente in nome di una vitale necessità di autodeterminazione, Mody raggiunge il privilegio della cultura e della libertà, alla ricerca costante della “gioia”, sfidando la cultura patriarcale, fascista e mafiosa, senza mai rifugiarsi nella mediocre facilità della morale corrente, delle convenzioni sociali e dell’opportunismo politico. Giunge ad amministrare il patrimonio e a gestire tutti gli affari della famiglia Brandiforte mentre la sua vita attraversa quasi tutto il Novecento: le due Guerre Mondiali, il fascismo, l’antifascismo, l’Italia repubblicana ci vengono raccontati attraverso le parole di Mody, che ascolta e osserva le vicissitudini di tutti i personaggi con cui la sua vita si intreccia.

L’arte della gioia è un romanzo irruento, istintuale e travolgente, a tratti (e in particolare nella seconda parte del romanzo) forzatamente eccessivo, ridondante, teatrale e verista, in cui siciliano e italiano si mescolano e fondono, carico di sesso, figli illegittimi, esperienze carcerarie, tradimenti, morti. La vicenda editoriale del romanzo è segnata dal rifiuto della gran parte degli editori italiani: la prima pubblicazione, postuma, si deve al marito Angelo Pellegrino che nel 1998 ne stampò pochi esemplari. In forza del successo ottenuto all’estero (in Germania e in Francia), Einaudi pubblica tutta l’opera di Goliarda Sapienza. L’arte della gioia è l’“autobiografia immaginaria” di una donna cresciuta fra politica (i genitori erano la sindacalista Maria Giudice e Giuseppe Sapienza, avvocato socialista), un animato mondo artistico che la vide partecipe come attrice teatrale e cinematografica del neorealismo italiano (lavora, tra gli altri, con Luchino Visconti in Senso) e circoli intellettuali esclusivi. Goliarda Sapienza, slegata da ogni vincolo sociale, non aveva nemmeno frequentato la scuola, per non subire influenze e imposizioni fasciste. La sua energia e vitalità, la sua potenza e la sua predisposizione a intuire e investigare tutte le contraddizioni del suo tempo e dell’esistenza stessa la portano a tentare due volte il suicidio: dall’elaborazione del lutto nasce L’arte della gioia. Goliarda Sapienza muore senza aver raggiunto il successo; oggi è considerata una delle maggiori autrici letterarie italiane del secolo scorso.

Goliarda Sapienza (1924-1996) nasce a Catania in una famiglia socialista. Nel 1943 si trasferisce con la madre a Roma, dove studia all’Accademia d’Arte Drammatica. Partecipa attivamente alla corrente del neorealismo italiano recitando come attrice teatrale e cinematografica e lavorando, tra gli altri, con Luchino Visconti (in Senso).

Al suo primo romanzo, Lettera aperta (1967), seguono Il filo di mezzogiorno (1969), L’Università di Rebibbia (1983), Le certezze del dubbio (1987) e, postumi, L’arte della gioia (1998), i racconti di Destino coatto (2002), Io, Jean Gabin (2010), Il vizio di parlare a me stessa (2011), La mia parte di gioia (2013), le poesie di Ancestrale (2013) e Appuntamento a Positano (2015).


Nicoletta Vaccari vive e lavora a Trieste. Si è laureata in Lingue e letterature straniere con una tesi sul genocidio del Ruanda, “Ecrire par devoir de mémoire”: il dramma ruandese attraverso le opere di Lamko, Tadjo e Waberi.

Quando legge e scrive è assistita dalla sua labrador Margot.

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