
A fendere la nebbia non basterebbe una palla di fuoco. La paura scava viscere ramificate. Quale strada prenderai alla biforcazione? Un tunnel impenetrabile attraverso cui, pietrificato, non sai neanche decidere se fare tu il primo passo. Vorresti tornare indietro, solo che non puoi: devi procedere, attraversare lo Stige ed essere a casa tra poco, all’orario che tuo padre t’impone e a cui non immagini ancora si possano contrapporre proteste. Al tuo fianco, Alex non dimostra un atomo di coraggio in più. Hai sperato nella virtù della sua proverbiale iniziativa, invece entrambi state aspettando che sia l’altro a fare il primo passo. È un balzo della fede: il primo che ti capita di fare. Forse il secondo, i pensieri vanno e vengono, ondeggiano su frequenze incontrollabili. Ardireste prendervi per mano, se non significasse perdere il bonus della forza, costituzione, carisma, essere visti da qualcuno, il giorno dopo diventare gli zimbelli della scuola. Non trovi coraggio che nel ricapitolare il progresso della tua esistenza, tutta concentrata in quel pomeriggio inedito, glaciale, magnifico ed elettrizzante. Torta e spezie, cioccolato caldo, auguri, tè, tremori, regali, angosce, illustrazioni su libri, avventura, cera per pavimenti, neanche un granello di polvere (finita a comporre quel banco denso quanto un mausoleo di granito). Scacchiere in bella vista, profumo di legni, volti imberbi imprigionati nell’abisso lustro del pianoforte a muro, setta degli avventurieri sopravvissuti. Attorno al tavolo tutto ti rimane fissato nell’iride, per come ti magnetizza da quando conosci il festeggiato, il master.

Abbottoni il penultimo alamaro del montgomery, incassi il collo nella sciarpa, sono sempre solo cinquecento passi da casa: non vogliamo mica scherzare? Alex ne deve fare molti di più; ti pare una vigliaccata – lo è –, ma ti consola: sarà lui a dover passare fin sotto casa tua e a non lasciarti solo per un momento. Coboldi e goblin, arpie e zombie si nascondono a un palmo, tramano nella bianca oscurità, vi strisciano alle spalle. Mettete il primo scarponcino avanti, vi tenete d’occhio di sguincio, pareggiando così quella mano che non vi date per virilità da tredicenni. Il primo passo, poi un altro e un altro. Quattrocento.
«Quel… quel teschio dagli occhi rossi che sghignazzava!» fa Alex.
«Non ricordarmelo, mi vengono i brividi; non sai come mi sentivo in quella stanza…»
«E anch’io!» E scoppiate a ridere, tentando di esorcizzare i presagi di morte. Che trovata geniale, quanta immedesimazione; la spina dorsale che si trasforma in una colonna di ghiaccio intagliata con l’ascia più uno. La mappa, i dadi, la sorpresa, gli incantesimi, salotto di luci calde soffuse alla perfezione. Le 19:00 che arrivano troppo presto: potresti provare a chiamare a casa, tirando avanti mezz’ora, ma la mamma del master, nonostante sia il giorno del suo compleanno, e voi siate lì per quello, vi avverte che a breve – un breve giro di parole, capito l’antifona, ragazzi? – la famiglia cenerà e, poi, a letto presto che domani.

Riuscite a esplorare fino all’ultima segreta, a giungere al colpo di scena finale: sconfitto il nemico, vittoria!, ma quanti rischi. Il sangue scorso a fiumi. Resti mesmerizzato ad infinitum tra le pareti umide, mattoni rossastri tappezzati di muschio, echi spaventevoli, trappole che per trovarle tutte dovresti invertire la rotazione terrestre – oddio, un anello magico: io, io, lo voglio io. Okay, lasciamolo al mago, ché già ha l’asma e, ancora un’ora qua sotto, schiatta appena prova a fiatare. Ridacchiate insieme, sedate il dolce brivido della rievocazione, il frattale della simulazione senza cui qualunque passione si spegne per sempre. Piccola, minuscola banda di loser/lover, anzi vero e proprio party (il primo, l’unico). Party come dicono i loser/hater più grandi che vi prendono poco sul serio e vi escludono dalle sessioni importanti o dai tornei validi per Leggendarie-Qualificazioni-Nazionali; che conoscono l’inglese, e voi lo sapete da bimbi delle medie, cioè non lo sapete; che sanno come si acquista un gioco in America per posta a suon di tonnellate di francobolli. Tu, al massimo, hai spedito una cartolina delle vacanze a aunt Mary di Los Angeles, by Air Mail. Non importa, non cambia nulla. Anche se avessi quel regolamento, non ci capiresti un’acca. Uscito da lì, sei tu a essere cambiato. Risistemi il berretto, tiri sulla testa il cappuccio, intravedi gli scarponcini di pelle sul selciato medievale, sollevi il mento e sfoderi un immaginario simbolo sacro. Altri trecento passi nella nebbia magica; la fendi, invero ti protegge, e il tremore scheletrico diventa aura sul filo dell’armatura. Alex, un solo passo dietro a te, tiene pronti arco e frecce. Dissipata la paura, il protagonista sei tu, ghigna dalla brossura patinata, il principe delle tenebre.

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