da redazione

Nella scuola serale di Legnano, un giovane professore insegna italiano a una classe di immigrati di diverse nazionalità: magrebini, albanesi, sudamericani, perfino un quarantenne con tre figli e una laurea in ingegneria, conseguita in Iraq. Tra di loro ci sono Cesar e Apollinaire, padre e figlio sbarcati in Italia dalla Costa d’Avorio, Amin l’albanese, partito a bordo di un gommone e arrivato a Brindisi a nuoto, Rafkani e Mohammed, il più silenzioso degli alunni.
Le loro lezioni sono, però, insolite, perché a ravvivarle, sul finire, arriva nonno Paplush, personaggio amato da tutti e memoria storica del paese: si affaccia alla porta, si siede in prima fila e inizia a raccontare la sua giornata e il suo passato, di quando faceva l’operaio alla teleria, “la madre che ci ha dato da vivere”, insieme a Ottavio, di quella volta che nel 1954 sorprese Fausto Coppi a fare pipì su un muro durante una tappa a cronometro, e di quando frequentava la vecchia locanda dove la giovane Rossana sognava di fare, un giorno, la ballerina e intanto cucinava per tutti e cresceva un figlio non riconosciuto dal padre. Ma in tutti i ricordi dolceamari di nonno Paplush c’è una figura che ritorna sempre, l’antico pioppo della Corte del Villoresi con cui il nonno ha un legame speciale…
“È strano come gli alunni preferiscano sentire quest’uomo anziano con cui non hanno nulla da spartire se non l’esperienza di essere anche loro, com’è stato lui, un trapiantato in una terra che non gli appartiene.”
“Lo guardo a fondo negli occhi. Ha ragione lui: ognuno ha bisogno di fabbricarsi il suo dio e lui se l’è fabbricato con un pioppo, con l’impalcatura del Monte Rosa, con una gara autunnale di bicicletta, con una fabbrica e una strada, la statale del Sempione, il grande serpentone di asfalto che parte dall’Arco della Pace, a Milano, e arriva in Francia. Se non ci fosse questa strada, lui probabilmente non avrebbe resistito tanto a lungo da queste parti, perché ci scivolano tante biciclette ogni giorno, estate o inverno, tranne i giorni di nebbia.”
Il libro è stato presentato dall’autore l’11 febbraio con StefanoSalis sui canali YouTube e Facebook di Aboca Edizioni e, poi, il 12 febbraio con Antonello Saiz della libreria Diari di Bordo di Parma e con il gruppo BookAdvisor.
L’autore
Giuseppe Lupo è nato in Lucania (Atella, 1963) e vive in Lombardia, dove insegna letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia. Per Marsilio, dopo l’esordio con L’americano di Celenne (2000; Premio Giuseppe Berto, Premio Mondello), ha pubblicato Ballo ad Agropinto (2004), La carovana Zanardelli (2008), L’ultima sposa di Palmira (2011; Premio Selezione Campiello, Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (2013; Premio Giuseppe Dessì), Atlante immaginario (2014), L’albero di stanze (2015; Premio Alassio-Centolibri), Gli anni del nostro incanto (2017; Premio Viareggio Rèpaci) e Breve storia del mio silenzio (2019, selezionato nella dozzina del Premio Strega). È autore di numerosi saggi e collabora alle pagine culturali del “Sole 24 Ore” e di “Avvenire”.