di Nicola Lagioia (articolo apparso in origine su La Repubblica del 9 aprile 2021)

Era il 2016 quando un team internazionale di scienziati, guidato da David Nutt dell’Imperial College di Londra, utilizzò la risonanza magnetica per capire cosa succede davvero a un cervello sotto Lsd. Era la prima volta che un’analisi simile veniva condotta con strumenti tanto sofisticati. I risultati furono sorprendenti. Non solo i dati sbandierati per decenni dai sostenitori delle politiche repressive si dimostrarono falsi, ma la molecola, sintetizzata da Albert Hofmann negli anni Trenta del Novecento, se usata in modo sensato (nel giusto contesto, verso persone preparate e consapevoli, con tutte le precauzioni e i controlli necessari), poteva avere effetti benefici in diversi campi. Ad esempio per curare – come nessuno psicofarmaco – alcune forme gravi di depressione. Oppure per ridimensionare il terrore della morte nei malati terminali e migliorare (in modo molto umano) i loro ultimi mesi di vita. O ancora per combattere le dipendenze da cocaina ed eroina. Per non parlare di come le neuroscienze possono usare gli psichedelici al fine di rischiarare le tenebre intorno a uno dei misteri supremi che riguardano noi umani: come funziona la coscienza, e come emerge.
L’esperimento dell’Imperial College – per il quale fu determinante la Beckley Foundation di una donna coraggiosa come Amanda Feilding – riaprì il dibattito sulla psichedelia a livello istituzionale, portò alcuni Stati a rendere di nuovo legale la produzione e la sperimentazione di Lsd e psilocibina, rilanciò in tutto il mondo un dibattito che non riguarda solo la sfera medica e scientifica, ma anche quella culturale, politica, artistica, religiosa. Il movimento psichedelico è in crescita ovunque, è molto variegato (ne fanno parte neuroscienziati, botanici, attivisti politici, psichiatri, psicoanalisti, filosofi, fisici teorici, artisti visivi, scrittori, religiosi, gente comune), si presenta molto più cauto e riflessivo rispetto all’onda esplosa negli anni Sessanta, e soprattutto, da posizioni diverse, si domanda se (oltre la cura di certe patologie) la psichedelia potrà cambiare il XXI secolo.
Un termine chiave, da questo punto di vista, è ego dissolution. L’esperienza psichedelica, nel suo momento apicale, porta infatti a una disgregazione dell’io cui non risponde affatto un’eclissi della coscienza. Tutto il contrario: abbandonata la zavorra identitaria (con i suoi egoismi, le sue frustrazioni, la sua volontà di potenza, il suo terrore del fallimento, il suo istinto di affermazione e prevaricazione) si riesce finalmente ad avere una visione di insieme. Si legge il mondo non più come separazione (io, loro) ma come perenne interdipendenza, non solo tra umani.
È il motivo per cui tanti psiconauti sostengono i movimenti ecologisti e trovano lampante, per la sopravvivenza della specie, sostituire alla religione dell’io l’etica del noi. Solidarietà, rispetto del pianeta, riduzione dell’ingiustizia sociale, una diversa esplorazione del proprio mondo interiore, un modo nuovo di vivere la relazione con chi ci sta intorno. Il tutto con un senso dell’equilibrio sconosciuto a chi ricorda le gesta di Timothy Leary. Ecco perché, superata la fase dell’uso scapestrato e dell’ancora più irrazionale repressione, si può forse cominciare a parlare di maturità psichedelica.
Repost dell’articolo apparso in origine sul quotidiano La Repubblica del 9 aprile 2021