
Parigi, inizio Novecento. Una città in pieno fermento. Si è da poco conclusa l’Esposizione Universale, quella che ha donato alla capitale francese uno dei suoi simboli ancora oggi più famosi, la Tour Eiffel. E il fervore, la spinta verso il progresso, la voglia di novità e bellezza non si sono ancora assopite, anzi sono più vive che mai. Pittori, scultori, poeti, artisti di ogni genere sono richiamati da questo clima estremamente dinamico. Le vie della città si trasformano velocemente in un crocevia di mente brillanti e caratteri imprevedibili, diventando il cuore pulsante del panorama artistico di inizio secolo. Nei vari quartieri, e specialmente a Montparnasse, avremmo potuto passeggiare accanto a Marc Chagall o Henri Matisse, la sera avremmo potuto disquisire con Hemingway, nei café cittadini avremmo potuto incontrare artisti di fama incontrastata come lo spagnolo Pablo Picasso e pittori maledetti come l’italiano Amedeo Modigliani.
Talvolta, la condivisione degli stessi spazi da parte di anime geniali, ma anche complesse, dava luogo a confronti accesi e sanguigni, uno dei quali ebbe come protagonisti proprio i due pittori. “Il futuro dell’arte si trova nel viso di un donna… Picasso, come si fa a fare l’amore con un cubo?”: sono queste le parole che Modigliani avrebbe usato per attaccare con ironia il movimento artistico abbracciato dal collega spagnolo. Sempre, questi incontri portavano a un confronto costruttivo, alla nascita di rapporti di stima reciproca; a volte sfociavano in amicizie, talvolta persino in liaison amorose. Conoscenze che univano per la vita, in maniera indissolubile ma, soprattutto, capaci di originare un’arte pura e potente in grado di emozionare tutti ancora oggi. Probabilmente, parte di questa forza è rintracciabile nella fusione di linguaggi artistici diversi, nella contaminazione non solo tra generi, ma tra forme tra loro differenti che, però, in questo periodo, iniziano a entrare in comunicazione, creando un dialogo che continua a distanza di quasi un secolo. Picasso e Dora Maar hanno unito pittura cubista e fotografia surrealista; prima di loro, Amedeo Modigliani e Anna Achmatova avevano messo in comunicazione l’arte del ritratto con la nuova poesia acmeista.
Galeotto fu il viaggio di nozze di Anna e del marito, il poeta Gumilëv, a Parigi nel 1910 e galeotto fu soprattutto quell’incontro avvenuto nel locale La Rotonde. Qui la poeta, come amava essere chiamata, incontra per la prima volta il bel Modì, un pittore italiano a inizio carriera, fuori dagli schemi in tutto e per tutto, sia nella sfera privata, sia nella produzione artistica.
Probabilmente io e lui non si capiva una cosa fondamentale: tutto quello che avveniva, era per noi la preistoria della nostra vita: la sua molto breve, la mia molto lunga. Il respiro dell’arte non aveva ancora bruciato, trasformato queste due esistenze: e quella doveva essere l’ora lieve e luminosa che precede l’aurora. Ma il futuro che, com’è noto, getta la sua ombra molto prima di attuarsi, batteva alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni, intersecava i sogni e spaventava, con la terribile Parigi baudelairiana che si nascondeva in qualche posto, lì accanto. E tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso una tenebra. Era diverso, del tutto diverso da chiunque al mondo. La sua voce mi rimase in qualche modo per sempre nella memoria. Lo conobbi che era povero, non si sapeva come facesse a vivere; come artista non era riconosciuto da nessuno.
Ecco come viene descritto Modigliani in un ricordo che di lui ci regala anni dopo Anna Achmatova. Un incontro, il loro, come tanti che erano soliti avvenire nei café parigini, un saluto fortuito e qualche veloce scambio di battute, eppure già questo fu sufficiente a creare un dialogo intenso tra due anime sensibili, a dar vita a un rapporto di amicizia e stima reciproca destinato a rafforzarsi sempre più con il passare del tempo. Sempre Anna ci racconta di come lei fosse diventata, in così poco tempo, una figura centrale nella vita del pittore, tanto che, nell’inverno successivo alla loro conoscenza, Amedeo le scrisse un numero importante di lettere, purtroppo al momento perdute. Modigliani è rimasto senza dubbio affascinato dalla personalità della poetessa russa, anzi, come lui stesso ci dirà, ne è quasi ossessionato. Non sorprende sapere che nel 1911, quando l’Achmatova torna a Parigi da sola, approfittando di un viaggio del marito in Africa, quanto il rapporto tra i due artisti diventi sempre più ravvicinato e intenso. In quei giorni avremmo potuto incontrarli spesso per le vie della città o, ancora più facilmente, nelle sale ricche di storia e capolavori del Louvre. Qui, in particolar modo, i due potevano esprimere la loro passione per il bello e l’arte e Modigliani aveva modo di portare avanti i suoi studi sulle forme scultoree dell’antichità.

È sempre da un ricordo che ci regala Anna a distanza di qualche anno che ci appare un ritratto inedito del bel Modì: era povero, il suo lavoro non era riconosciuto, ma mai si lamentava per questa sua situazione; era come circondato da un compatto anello di solitudine, si poteva camminare ore al suo fianco senza che rivolgesse anche solo un saluto; soprattutto, sempre sobrio e lucido, aveva una cortesia che lo rendeva diverso da tutti i suoi contemporanei. A questi giorni spensierati, appartiene l’aneddoto delle rose, una storia affascinante e romantica, che ci viene tramandata, ancora una volta, dalla penna della poetessa russa.
Una volta non fummo chiari nel fissare un appuntamento e io, passando da lui, non lo trovai a casa. Decisi allora di aspettarlo. Tenevo tra le braccia un mazzo di rose rosse. Una finestra sopra le porte chiuse del laboratorio era aperta, e da lì iniziai a gettare rose nell’atelier. Poi, senza attendere il suo ritorno, me ne andai. Quando ci incontrammo, egli mi manifestò il suo stupore: come avevo potuto penetrare nella stanza chiusa, senza la chiave? Gli spiegai quello che avevo fatto. ‘Non è possibile: erano sparse per terra così bene!’”.
Ricordi al limite del romantico, che fanno nascere molti interrogativi a riguardo della vera natura del rapporto che legava i due artisti. Stima? Amicizia? Storia d’amore? Non lo sapremo mai con assoluta certezza. Quello che è indubbio è il fatto che queste due anime si siano affascinate a vicenda e la prova più lampante la troviamo, ancora una volta, proprio nelle loro opere. Modigliani ritrae numerose volte Anna Achmatova, cedendo al fascino dei lineamenti decisi della poetessa, lo stesso charme che incanterà molti atri pittori sia prima sia dopo di lui. La dipinge in primo piano, il volto pallido in contrasto con un abbigliamento scuro, lo sguardo fiero e deciso di chi è fortemente consapevole del proprio ruolo nel mondo. Soprattutto, la ritrae in sedici incantevoli schizzi, che, purtroppo, non diventarono mai opere vere e proprie. Pochi tratti su un foglio, le linee decise per identificare una figura quasi scultorea, una bellezza selvaggia che cela un carattere indocile. Di questi, solo un disegno è giunto sino a noi, quello che Anna preferiva, quello in cui si riconosceva maggiormente, quello che la poeta aveva gelosamente custodito per tutta la vita.
A modo suo, Anna ci ha donato diversi ritratti del pittore italiano, non usando matita e colori, bensì parole e versi. Molti anni dopo il loro primo incontro, la poeta ripercorrerà le tappe della sua amicizia con Modigliani, regalandoci pagine autobiografiche ricche di poesia che, ancora oggi, ci permettono di ricostruire e riassaporare il legame che li unì. Ma non solo: molti intravvedono in alcune poesie della raccolta “Sera”, pubblicata nel 1912, un’eco dei bei momenti trascorsi a Parigi, in compagnia di un imprevedibile artista italiano. Nessuno ci potrà mai dare certezza riguardo a questa chiave di lettura, ma niente ci vieta di sognare, di leggere i meravigliosi versi dell’Achmatova e ritrovarci immersi in una Parigi d’altri tempi, in un’atmosfera impregnata di spirito artistico e dinamismo, in cui due grandi sensibilità, quella di Modigliani e Anna, hanno dato vita a un dialogo che ha contrapposto e unito per sempre pittura e letteratura.
Strinsi le mani sotto la scura veletta…
“Perché sei pallida quest’oggi?”
– Perché di acerba tristezza
l’ho ubriacato sino a stordirlo.
Come dimenticare? Egli uscì barcollando,
con le labbra contratte dalla pena.
Io corsi giù senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro a lui sino al portone.
Ansimando gridai: “Tutto è stato
uno scherzo. Se te ne andrai morirò”
Sorrise con aria tranquilla e sinistra e mi disse: ” Non restare al vento.”
Anna Achmatova, In una notte bianca