Si è sempre fatto così

di Deborah D’Addetta

Una recente intervista ad Alessia Dulbecco su come utilizzare la tecnologia per l’educazione di genere

Alessia Dulbecco, pedagogista counsellor e formatrice esperta in DE&I (Diversity, Equality & Inclusion) concentrando le sue esperienze professionali e di studio, pubblica per Tlon questo testo fortemente spinto verso la saggistica, senza però appesantire la narrazione con troppi tecnicismi.
Il focus è sulla comprensione del significato di pedagogia di genere, una disciplina che oggi sta prendendo sempre più piede in Italia e che all’estero va di pari passo con i gender studies. Il presupposto fondamentale è la giusta informazione: molte volte, spesso per ignoranza (non nel senso cattivo del termine, ma del vero e proprio “ignorare qualcosa”) si fa confusione, si intrecciano termini e terminologie, non si comprende appieno quanto una preparazione a priori sia fondamentale, e non solo per i pedagogisti o i professionisti del mestiere, ma anche e soprattutto per tutti noi.
Dulbecco si introduce spiegando cos’è la pedagogia di genere: una disciplina che studia e analizza l’insieme dei comportamenti, delle azioni, delle attenzioni messo in atto quotidianamente, in modo più o meno intenzionale, da chi ha responsabilità educativa (genitori, insegnanti) in merito al vissuto, ai ruoli e alle relazioni di genere dei giovani e giovanissimi.

Il testo, fatte queste premesse, si divide in tre parti, tante quante le fasi di crescita: infanzia, adolescenza e età adulta. A ciascuna sezione l’autrice dedica delle disamine puntuali su come, nel corso del tempo, si sia arrivati a un condizionamento che divide nettamente le persone per sesso e genere, spesso causato da modelli educativi sbagliati. Gli esempi che Dulbecco presenta sono molto interessanti e, in certi casi, anche illuminanti: pensiamo ai colori, alla dicotomia rosa/azzurro che spontaneamente incasella il neonato/la neonata in una determinata e prestabilita nicchia. Lo stereotipo, spesso reiterato in modo inconsapevole, chiaramente stabilisce che al mondo esista solamente una divisione di tipo binario.

«si vengono a creare quelle che la pedagogista Irene Biemmi ha definito “gabbie di genere” ovvero percorsi unidirezionali e preimpostati che orientano […] verso ciò che ci aspettiamo da loro»

Ai colori, l’autrice affianca altri esempi, come il gioco: anche in questo caso, esiste il presupposto che per il bambino maschio vadano creati e regalati giocattoli dinamici – trenini, soldatini, macchine, robot – mentre per la bambina femmina giocattoli che ammiccano alla sfera domestica o a quella della bellezza – cucine, trucchi, Barbie – senza lo sforzo di pensare a qualcosa che vada bene per entrambi a prescindere dal genere. Lo stesso discorso, incasellato e limitante, si fa per le emozioni: la rabbia è accettata nel bambino perché lascia presagire che sarà un adulto forte, determinato, virile, mentre nella bambina è rimproverato, perché da lei ci si aspetta comprensione e dolcezza. Ciò che mi piace di Dulbecco è che non si limita a parlare solo delle donne, ma anche di ciò che subiscono gli uomini quando parliamo di sessismo: tanto la donna si sente repressa, quanto l’uomo. Pensiamo solo alle lacrime: a quest’ultimo non è concesso piangere o mostrare debolezza emotiva, pena essere tacciati di essere delle “femminucce” o peggio ancora, Dio non voglia, degli omosessuali.

Alessia Dulbecco

Questo nodo fondamentale è matrice di molti comportamenti scorretti nei confronti dei bambini e degli adolescenti maschi: come dice l’autrice «si vengono a creare quelle che la pedagogista Irene Biemmi ha definito “gabbie di genere” ovvero percorsi unidirezionali e preimpostati che orientano […] verso ciò che ci aspettiamo da loro» (pg.36). Il nodo poi si allarga nella sezione dedicata agli adolescenti e alle adolescenti includendo la sfera scolastica. Anche in questo caso, si presume che ci siano delle codifiche quasi genetiche, le quali debbano indirizzare gli uomini verso le materie scientifiche e le donne verso quelle umanistiche. Ancora una volta, cosa che apprezzo molto, Dulbecco non parla a senso unico: com’è giusto che le ragazze dovrebbero poter accedere alle materie stem/steam così anche i ragazzi dovrebbero poter fare i parrucchieri o i maestri d’asilo senza essere discriminati.

L’ultima parte, quella dedicata all’età adulta, conclude il cerchio: la discussione si concentra sulla sfera domestica e lavorativa, e sul cosiddetto “carico mentale” nonché sulla violenza di genere. Il carico mentale non è altro che il peso emotivo e di responsabilità che le donne, spesso mamme e lavoratrici, devono subire per essere persone multitasking. A volte non è tanto faticoso il lavoro pratico quanto il dover pensare a tutto ciò che c’è da fare, al non poter delegare. E questo discorso è valido soprattutto per le donne, ma anche gli uomini non ne sono esonerati. L’autrice fa l’esempio di quegli uomini che scelgono di non lavorare per potersi occupare della casa e dei figli mentre la moglie magari è una donna in carriera: inevitabilmente, agli occhi della società, quell’uomo è un fallito. Un’altra gabbia di genere, dunque.

Ovviamente in questa sezione, Dulbecco non sorvola sulla piaga della violenza, oggi tanto attuale (purtroppo). Le aspettative, la repressione delle proprie emozioni, l’incasellamento, la gerarchizzazione dei generi, non sono altro che benzina sul fuoco della violenza, e l’autrice insiste sul fatto che abbattere secoli di patriarcato non sia facile, perché abbattere gli stessi stereotipi che lo nutrono è un’impresa titanica. Eppure, avanza delle idee, dei suggerimenti, ed è qui che la pedagogia di genere torna protagonista: i comportamenti sbagliati non sono innati, ma imposti. Il bambino e la bambina educati in modo corretto potrebbero rivelarsi adulti sani e inclusivi e questo è sempre compito di chi cura la loro crescita fisica e mentale, dai genitori agli insegnanti. L’ho trovato un testo pieno di spunti interessantissimi, un testo che io consiglierei di inserire nelle proposte scolastiche. La scrittura è scorrevole, semplice, efficace. Un ottimo punto di partenza per cominciare a farsi delle domande, ancora più fondamentale se posto nelle mani di chi ha certe responsabilità nell’ambito del mondo dell’educazione, così da spingere all’interruzione di quel circolo vizioso che è la scusa del “si è sempre fatto così”.

L’autrice

Alessia Dulbecco (1985) è pedagogista, formatrice e counsellor specializzata nel contrasto alla violenza di genere. Dopo un decennio di attività in vari centri antiviolenza, oggi collabora con scuole, aziende e associazioni. Scrive per varie testate, tra cui «The Italian Review», «L’Indiscreto», «Il Tascabile», «The Vision». Si è sempre fatto così! Spunti per una pedagogia di genere è il suo primo saggio.


Un pensiero su “Si è sempre fatto così

Lascia un commento