di Nadia Fusini

Nella stanza di Jacob, da me di recente tradotto per Feltrinelli, a un certo punto si parla di una certa Julia Hedge, che studia al British Museum. Solleva lo sguardo alla cupola e legge i nomi, che lì sono scritti: vicini l’uno all’altro nell’anello della cupola legge i nomi di Platone, Aristotele, Sofocle e Shakespeare… Tutti nomi maschili di scrittori e intellettuali e filosofi. Non una donna. In quel monumento memoriale che il Regno Unito ha elevato a sublime riconoscimento del valore della mente umana – non c’è un donna. Julia si sente sola, si domanda in silenzio tra sé e sé: perché non hanno lasciato uno spazio per George Eliot, per Emily o Charlotte Brönte?
Mi è tornato alla mente quando Tomaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, mi ha invitato a inaugurare nella sua università un’aula a Virginia Woolf. Il 16 settembre di quest’anno. Sì, ci andrò, perché è una cosa che mi riempie di orgoglio. E perché… perché penso che servirà se non altro ad aumentare l’autostima delle molte giovani donne che entreranno nell’aula. Virginia Woolf nella sua esistenza, sappiamo, rifiutò molti onori inclusivi: disse di no quando nel 1931 le venne offerto di tenere le Clark Lectures a Cambridge, un riconoscimento accademico tra i più ambiti – suo padre aveva inaugurato quelle lezioni nel 1893, l’amico T.S. Eliot era stato invitato nel 1926. Lei disse, no grazie, too late.
Due volte rifiutò la laurea honoris causa offertale dalla Manchester University nel 1933, e da quella di Liverpool nel 1939, too late disse: l’educazione a Oxbridge a me è stata negata. Nel 1935 le venne offerto il titolo di Companion of Honour, no, grazie, spiegò: non credo negli onori, e nelle stellette e nei fiocchi e nelle medaglie. Oggi è diverso, viviamo in un mondo inclusivo. Anche se con proporzioni di integrazione assai inique. Ma siamo donne consapevoli della nostra forza, e abbiamo delle antenate. E le celebriamo.
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