Colossal Biosciences e la de-estinzione del Metalupo: nessun futuro ma solo fiction

di Fabio Deotto

Gli pseudo Metalupi, Romolo e Remo

Quelli presentati dall’azienda di biotecnologie Colossal Biosciences non sono cuccioli di Metalupo (o di Aenocyon dirus, di Dire Wolves nella serie “Game of Thrones”, per usare la denominazione corretta o anglofona), sono cuccioli di lupo grigio con una ventina di geni modificati per simulare alcuni tratti di una specie estinta. Non è stato usato direttamente materiale genetico di enocione e non è ancora detto che avranno quelle caratteristiche (denti più affilati, forza del morso maggiore) che avevano permesso a quella specie di primeggiare nel Pleistocene. 

Ancora una volta, invece di prenderci cura dell’esistente ci imbarchiamo in imprese ercolane che hanno l’unico effetto di rimarcare la nostra eccezionalità nel mondo animale (e magari far sollevare le quotazioni di una startup).

Nella peggiore delle ipotesi si tratta di una truffa, nella migliore di un’operazione di appropriazione genetica spacciata per de-estinzione da una startup, la Colossal Biosciences, che oggi è valutata 10 miliardi di dollari. Ma il punto non è tanto questo, perché anche se quei cuccioli fossero effettivamente esemplari di enocioni de-estinti, una domanda rimarrebbe: perché? A che pro riportare in vita una specie estinta da 10.000 anni? C’è chi millanta di voler ripristinare la biodiversità perduta, riportando in vita specie estinte per cause umane, chi sostiene che esperimenti di questo tipo aiuteranno a perfezionare tecniche utili a scopo medico, chi invece ammette che a muovere il tutto ci sia la cara vecchia hybris.

Come farsi scappare l’occasione di fotografarne uno in braccio a George Martin?

Intanto però siamo nel mezzo della sesta estinzione di massa, si calcola che ogni anno spariscano 30.000 specie diverse, e che da qui al 2050 si arriverà a un milione di nuove specie estinte. Di fatto, stiamo impiegando milioni su milioni di dollari per cercare di riportare in vita (o fingere di farlo) una manciata di specie, quando basterebbe investire quelle cifre nella conservazione degli habitat, nel ripristino degli ecosistemi e nella transizione ecologica per salvarne decine di migliaia. Senza considerare, peraltro, che un conto è ingegnerizzare alcuni esemplari di una specie estinta, un altro è capire come interagiranno col mondo attuale: specie come il metalupo, il tilacino, il mammuth, non hanno più una nicchia ecologica, e difficilmente potranno essere integrate in ecosistemi sempre più precari.

Ancora una volta, invece di prenderci cura dell’esistente ci imbarchiamo in imprese ercolane che hanno l’unico effetto di rimarcare la nostra eccezionalità nel mondo animale (e magari far sollevare le quotazioni di una startup). Va contro ogni buon senso, eppure continuiamo a cascarci. Questo perché l’ossessione per la de-estinzione è un problema culturale: una specie de-estinta catalizza molta più attenzione di mille specie salvate dall’estinzione

Torniamo sempre lì: la cura è molto meno pubblicizzabile della crescita, e molto meno monetizzabile. E finché non troviamo il modo di monetizzare qualcosa (o di farla comparire nel PIL), facciamo una fatica tremenda a darle valore.

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