di Terry Passanisi.
Ci sono espressioni (versi, titoli, locuzioni…) che per la loro essenza, oltre che per la loro musicalità, per ciò che esprimono come mai nessun’altra frase esprimerebbe, rimangono impresse a vita nella memoria. Tutte le volte che ci troviamo di fronte a una tesi, a una teoria, al cospetto di un dibattito, qualcuna di quelle frasi emerge prepotente nella testa; pronta a sottolineare, a puntualizzare, ad affermare o criticare l’idea esposta; essa ci aiuta istintivamente a capire dove ci troviamo esattamente e a riflettere su ciò con cui ci stiamo confrontando. Una di quelle frasi (o verso, o…) per me, è il titolo del capolavoro di animazione di Bruno Bozzetto, con il grande Maurizio Nichetti, “Allegro non troppo”. Capita che quel sussurro mi venga tempestivo in aiuto, didascalico, idiomatico, sempre per mettermi in guardia a proposito di un dibattito o di una tesi che mi trovo di fronte.
Sul quotidiano di Trieste “Il Piccolo” di venerdì scorso, 24 giugno 2016, mi sono imbattuto nell’articolo culturale di Alessandro Mezzena Lona, dal titolo “Se Trieste diventasse un gigantesco museo dedicato agli scrittori” (http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo–libero/2016/06/24/news/se–trieste–diventasse–un–gigantesco–museo–dedicato–agli–scrittori–1.13715715?ref=hfpitsef–1). Il giornalista manifesta le sue ragioni, spiega il suo perché Trieste non sia particolarmente frequentata da turisti e pellegrini letterari, alla stregua di altre città francesi come Saché, per esempio, tanto cara a Honoré de Balzac; propone quale causa la mancanza di un vero e proprio Parco della Letteratura nella città, da far visitare a illustri ospiti e fedelissimi lettori (un’interessante idea di qualche tempo fa del professore joyciano Renzo Crivelli). Per quanto l’articolo si presenti preciso, stimolante per alcuni spunti di riflessione, mi ha lasciato perplesso il fatto che verta sulla proposta del parco letterario in sé. Un museo con percorso en plein air? Un parco a tema? Esiste già? Sul serio? Non ne sono venuto a capo, forse per mancanza di spazio, non ho ben capito se quel progetto è già delineato. Il parco fungerebbe da motore fondamentale per incentivare il turismo, alla ricerca dei luoghi sacri letterari ispirati da opere ambientate nel capoluogo giuliano. Con una certa licenza, mi sono convinto che quell’articolo sia un po’ arbitrario e non colga il punto essenziale della questione. Peccato che Marcel Proust, proprio in una questione del genere, venga citato solo come caro amico di Paul Morand; del resto, la Francia è Parigi, come si dice, tutto il resto è letteratura. Mi sento di dissentire da causa ed effetto sostenuti sul quotidiano, non fosse altro che per il fatto che luoghi come Méséglise (Méréglise, nella realtà), Combray (in origine Illiers, che in occasione del centenario della nascita di Proust si è rinominata Illiers–Combray) e Balbec (la cittadina di Cabourg, impreziosita dalla Promenade Proust lunga più di tre chilometri) sono raggiunti ogni anno da migliaia di visitatori, per nessun altro motivo se non quello di ritrovare i luoghi descritti nelle immortali pagine della Recherche. Non credo che i luoghi sperduti che hanno fatto da teatro alla dinastia dei Valois, sulle tracce della Sylvie di de Nerval, come Loisy, Mortefontaine od Othys, siano entrati nel pantheon dei luoghi letterari immortali, da visitare almeno una volta nella vita, perché a pochi chilometri di distanza vi si trovano i parchi a tema di Asterix e di Topolino. Come spiegare una cassa di risonanza di tale portata, allora, da parte di quelle località? Bisogna prima di tutto comprendere che quelle pagine appartengono a opere entrate nel mito – spero che i grandi scrittori locali citati nell’articolo, come Stelio Mattioni, né Saba, Svevo e Marin non si rivoltino nella tomba – stilemi assoluti, di respiro internazionale, ammantate di un’universalità del sentire umano come nessun’altra opera. Pagine divenute talmente celebri da ispirare un viaggio imprescindibile, a ritroso nel tempo, nelle emozioni più profonde, da parte di chiunque abbia potuto farle proprie. C’è di certo una misura, una proporzione tra alcuni scrittori e altri, e non è una questione prettamente di qualità letteraria. Arthur Conan Doyle è stato uno scrittore migliore di Claudio Magris? De gustibus, naturalmente. Ma lo scrittore scozzese è stato in grado di far credere perfino agli illuminati londinesi che Sherlock Holmes fosse esistito davvero e che la sua casa–museo in Baker Street 221/b, oggi più che mai ambitissima meta di pellegrinaggio, sia stata davvero abitata assieme all’inseparabile dottor Watson. Invece, ahimè, il nostro grande Magris lascia interdetti, allo stato attuale delle cose, la maggior parte degli studenti alle prese con la prova di maturità che lo riguarda.
Certo, ci sono Joyce e Svevo. Sento già le obiezioni arrivare da lontano come un’eco muta: perlomeno con Sherlock Holmes si è sfruttata la possibilità di avere un museo a disposizione dove accogliere i turisti curiosi. Sì: ma se a Trieste non siamo nemmeno in grado di trasformare un polveroso negozio di via San Nicolò in una libreria–museo dedicata a Saba, né di riscattare la vecchia bottega di vernici della famiglia Schmitz, istituendola a monumento letterario, permettendo che diventi l’ennesima risto-pizza-tavolacalda del centro città, che cosa (ma soprattutto in che modo e quando…) spereremmo di ottenere da un parco letterario di qualsivoglia tipo?
Ben vengano i progetti e le proposte, non sia mai, ma dovremmo partire da iniziative culturali più efficaci, potenziando quelle già esistenti, prendendo esempio da festival letterari e storici come quelli di Pordenone o Gorizia, e misurarne innanzitutto la risposta del pubblico. O da cose finanche più semplici, atte a smuovere le coscienze addormentate della popolazione locale, alquanto ebbre di bar e aperitivi e mortadelle al coltello affettate dai sindaci, ma piuttosto sobrie di alternative. Le aperture di biblioteche e musei fino a tarda serata, per esempio – gli orari attuali delle biblioteche sono scandalosi, specchio evidente di quale sia il quadro culturale delle città italiane. Trieste non è la sola vittima, in questo senso: è colpa della mancanza di fondi, degli appalti sballottati a questa o a quell’altra cooperativa, manca il personale… la solita manfrina all’italiana, per dirla popolarmente.
Magari tra qualche decennio (secolo?), le pagine di autori come Veit Heinichen, come già stanno meritatamente facendo, o di Camilleri, che prossimamente ambienterà uno dei suoi romanzi a Trieste, saranno in grado di attirare qui appassionati di letteratura da tutto il mondo, in preda a un deliquio da romanzo, estinguibile solo visitando gli angoli della città tanto invocati ed evocati. Per ora, sono convinto che Trieste sia semplicemente una bellissima città da visitare, in ogni caso, al netto di qualsiasi parco a tema romanzesco, incapace di far valere appieno le sue potenzialità culturali. Ma questo lo sa già il buon numero di turisti che ogni anno giunge stimolato da motivazioni di altra natura. Trieste, insomma, città letteraria non troppo.
Letture consigliate:
- La coscienza di Zeno – Italo Svevo (Feltrinelli, 2014)
- Ritratto dell’artista da giovane – James Joyce (Adelphi, 2012 trad. Cesare Pavese)
- Non luogo a procedere – Claudio Magris (Garzanti, 2016)
- Trieste: la città dei venti – Veit Heinichen e Ami Scabar (Edizioni E/O, 2010)
Trieste è già un parco letterario. 40 targhe su Joyce, 30 su Svevo, 28 su Saba, due musei uno su Svevo e uno su Joyce. Un riconoscimento internazionale per questo, migliaia di scuole in visita, tre guide-baedeker con decine di schede bilingui. Una tesi di laurea in Scienze della Comunicazione alla Cattolica di Milano sull’esperimento unico in Europa, del museo en plein air. Magari informarsi, prima di parlare. Osservazioni intelligenti, ma un po’ negative, alla triestina.
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Gentile professor Crivelli, grazie per la sua puntualissima precisazione. Certo che recuperare alcune informazioni a riguardo dei titoli e dei riconoscimenti ricevuti da Trieste in questo ambito non è così facile; ma le mie perplessità vertono soprattutto sul pretesto del giornalista de Il Piccolo, per cui si afferma che Trieste non è valorizzata quanto merita. Per cui, maggiormente, se Trieste possiede già ciò che si richiederebbe, di cos’è che si discute in quell’articolo? Inoltre sollevavo altre perplessità, di conseguenza, che non mi paiono così dozzinali (se con “alla triestina” intende quello). Il suo ottimo commento sarebbe ancora più appropriato proprio per quell’articolo apparso sul quotidiano.
ps. Grazie per la sua inestimabile attività che cerco di seguire il più possibile.
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