di Terry Passanisi

Margaret Atwood non ha paura. Intelligente e fantasiosa in modo spregiudicato – ma senza paura –, per il modo in cui distorce il pensiero o un’immagine, non solo in qualcosa di raccapricciante: e tutto ciò è universale, mordace e assolutamente vero. È una scrittrice che gioca con il linguaggio e con i propri personaggi, con i significati multipli e con i tessuti narrativi, ed è qualcuna che non ha timore di esplorarne i limiti; che poi, di ritorno, ci descrivono nel miglior modo possibile dove sia stata, quanta e quale strada abbia compiuto.
La signora Atwood potrebbe sghignazzare dietro un’educata mano per questa introduzione. Oppure, più probabilmente, affibbiarmi un soprannome suggeritole dall’arguzia in punta di fioretto che la contraddistingue, prendendosi tutti i complimenti subito prima di scuoterseli via di dosso, scettica. Non è avvezza alle etichette o a certe classificazioni. Dopo più di quaranta romanzi, poesie, e raccolte di racconti, scrive di donne e di relazioni femminili; ma non è affatto una scrittrice femminista come talune – le quali amano dissezionare chirurgicamente i luoghi comuni e le abitudini delle donne. Ha confezionato come farebbe un artigiano tutta una serie di futuri distopici, come appaiono gli attuali Stati Uniti in The Handmaid’s Tale (1985), in cui le donne sono sottomesse e segregate solo per essere poi ridotte a mere incubatrici di prole; o come il mondo geneticamente modificato della sua trilogia post- apocalittica Oryx and Crake, The Year of the Flood, e MaddAddam, nonostante si faccia beffe del fatto che scriva realmente di fantascienza. Speculative fiction è la definizione che preferisce per la sua letteratura, pura speculazione predittiva, perché se non facciamo attenzione, i mondi da lei immaginati potrebbero concretizzarsi a tutti gli effetti.
“Desideriamo la saggezza. Desideriamo la speranza. Vogliamo essere buoni. Per questo a volte abbiamo bisogno di raccontare a noi stessi storie che ci mettano in guardia, che hanno a che fare con il lato più oscuro dei nostri bisogni reconditi”, ha scritto in tempi non sospetti. “La letteratura è un immettere in circolazione, o un emettere, spontaneo della fantasia umana. Consente a forme indistinte e sotterranee di pensiero e di sentimento – Paradiso, Inferno, demoni, angeli e tutto il resto – di emergere alla luce, consentendoci di focalizzarle bene e, forse, di giungere a una migliore comprensione di quello che siamo e di ciò che vogliamo, e quali siano i limiti che quei bisogni hanno.”
Figlia di un entomologo, impiegato come guardia forestale per il governo canadese, Margaret Atwood ha trascorso gran parte della sua infanzia in mezzo alla natura selvaggia, crescendo affascinata e rapita tanto dalla scienza e dalla natura quanto dal mito e dalla fantasia, fili conduttori che si intrecciano nella sua intera opera premiata infinite volte.