di Terry Passanisi

Come nei migliori lanci pubblicitari del cinema fantastico – che non convincono più nemmeno la casalinga di una frazione di Voghera –, mi prendo tutte la responsabilità nel dire che l’aneddoto che sto per raccontare è… tratto da una storia vera. Il racconto è stato, sì, partorito da pure speculazioni, nonché da bieche invenzioni, esso è però diventato, come ogni leggenda che si rispetti, di diffusa conoscenza e comprovata verità. Il protagonista della storia è un poeta il cui nome è giustamente riconosciuto in tutto il mondo, ma la cui vita è rimasta sempre ampiamente avvolta nel mistero. Il 19 gennaio si è festeggiato il suo compleanno. L’altro personaggio, il cattivo di tutta la faccenda, è invece un poeta il cui nome è rimasto assolutamente sconosciuto, soprattutto all’infuori dei suoi confini; molto probabilmente questa è l’unica ragione per cui si ritiene che le voci che mise in giro, e tutte le informazioni in suo possesso, fossero fasulle. Forse, un aneddoto che riguarda due poeti in eterna rivalità non è una vera e propria storia di spionaggio, ma – e sottolineo ma! – il villain in questione è davvero originale e bizzarro, come se ne sono visti pochi nella storia se non nella letteratura o al cinema. Il suo strampalato odio ossessivo per il poeta concorrente fu così inossidabile, persistente, da tramutarlo in un sentimento romantico e di grande fascino.
La nostra storia inizia il 9 ottobre del 1849, esattamente due giorni dopo la morte del celeberrimo Edgar Allan Poe, quando uno dei giornali più popolari dell’epoca – l’ormai a propria volta defunto New York Daily Tribune – pubblicò il necrologio del grande scrittore di Boston. Senza troppi orpelli né fronzoli, il giornale titolò: “Edgar Allan Poe è morto.”
Ma già prima della fine del primo paragrafo, il necrologio faceva insinuazioni del genere: “[…] questo annuncio farà sussultare molti di voi, ma ben pochi ne saranno davvero addolorati”, infarcendosi nei successivi capoversi di toni maldicenti quali: “[…] egli in vita ha avuto pochi amici. O, è meglio dire, nessun amico.” Forse tra le varie invettive nei confronti del malcapitato Poe, la cosa più ridicola scritta dal giornalista che compilò il necrologio fu il modo in cui venne descritto lo scrittore in vita, alla stregua di una persona che: “[…] camminava per le vie in preda alla pazzia o alla malinconia più estreme, con labbra frementi che sussultavano proiettate in ogni tipo di maledizione, fuoriuscita indistintamente, con occhi rovesciati all’indietro quale sintomo di un’immedesimazione in indecenti preghiere (mai per se stesso, dato che egli si sentiva già, o dichiarava di essere, condannato all’inferno).”
Il pezzo giornalistico, nel corso del tempo, fu volutamente diffuso il più possibile e raggiunse un numero vastissimo di lettori in tutta l’America. L’autore di quel necrologio si chiamava Rufus Griswold, arci-nemesi giurata di Edgar Allan Poe.

Per farsi un’idea del rapporto che intercorreva tra i due si immagini come, secondo abbondanti testimonianze del tempo, Griswold rispecchiasse del tutto le caratteristiche di un americano nordista e Poe, al contrario, quelle del tipico sudista. Entrambi ebbero modo di curare la stessa rivista letteraria, il Graham’s Magazine, anche se in tempi diversi. Cosa peculiare è che Griswold pubblicò il lavoro di Poe nella sua antologia The Poets and Poetry of America. Poe, all’opposto, non perse occasione di criticare i meriti di quella antologia a ogni piè sospinto.
Negli otto anni che trascorsero tra la morte di Poe e la propria, Griswold spese gran parte delle sue energie per cercare di annientare la fama dell’avversario; ma in quel lasso di tempo ammise egli stesso, messo di fronte alla grandezza degli scritti di Poe, che non sarebbe mai riuscito nell’intento.
“Quando Griswold morì,” come ha dichiarato Chris Semtner, curatore dell’Edgar Allan Poe Museum di Richmond, in Virginia, in un’intervista rilasciata all’Huffington Post, “uno dei beni più preziosi in suo possesso fu un ritratto di Poe, appeso in bella mostra nel salotto”. Griswold rubò letteralmente il dipinto a olio – l’unico ritratto eseguito in vita a Poe, in cui posò da modello – alla madre della moglie dello scrittore. E insieme a quel quadro sottrasse anche i documenti che attestavano i diritti d’autore sull’opera omnia di Poe. “Mi chiedo che cosa sia passato per la testa a Griswold, quando si ritrovò davanti, appeso alla parete, quel ritratto,” continua Semtner. “Era proprio Edgar Allan Poe: colui che in vita l’aveva sminuito, oltraggiato e deriso pubblicamente. Ma Poe aveva pur sempre raggiunto fama internazionale; Griswold invece fu conosciuto meglio, in patria, come un antologista di opere altrui, e ben presto sarebbe divenuto conosciuto soltanto come il biografo del suo peggior nemico!”

Oggi, Griswold potrebbe subire l’identico maligno destino toccato a Poe, proprio perché come il grande autore de Il pozzo e il pendolo, non essendo più in vita, non può discolparsi dai propri misfatti (veri o presunti tali), né confutarli. È solo grazie alle sue prese di posizione – o a causa delle quali – che gli studiosi di Poe oggi hanno finito per interessarsi alla biografia di Griswold, così da ricostruirne dettagliatamente la storia, come si deve. Ironia della sorte, la più grande collezione di opere di Griswold risiede nel museo dedicato al suo acerrimo nemico.
La distinzione tra l’eroe e la sua nemesi, tra il buono e il cattivo, tra l’ammirevole e il deprecabile, è troppo spesso ambigua in ognuna delle storie di rivalità vecchie come il mondo. Ed è intrinseco che, in entrambi quei ruoli, ci sia sempre necessità l’uno dell’altro per rafforzarsi, nutrirsi e brillare di splendore, fino a divenire mitologici. Suo malgrado, in questo caso, Griswold non fu altro che un fronzolo anonimo nella vita dell’immenso scrittore a cui cercò di mettere i piedi in testa. Nonostante l’amarezza e la sofferenza proiettati in vita su Poe, tuttavia, Rufus Griswold, pace alla stizzosa anima sua, riposerà in pace e per lo più sconosciuto per il resto dei suoi giorni.