di Michele Serra.
Se non esiste, tra i contemporanei, un Otto Hitler, non è solamente per ragioni biologiche (l’omino coi baffi non ebbe figli). È perché in Germania i conti col nazismo sono stati duri e definitivi, ed eventuali eredi del vecchio Adolf avrebbero certamente provveduto a cambiare cognome e rifarsi una vita lontano da quell’ombra orrida e vergognosa. Onta del genere umano.
In Italia, si sa, le cose sono molto diverse. I conti col fascismo non sono stati mai fatti per davvero e l’omone col fez è presente in molte case, e in molte strade, con assoluta naturalezza, come gli acquerelli delle zie, il limoncello nella credenza o il ficus sul pianerottolo. Fu un dittatore, un razzista, un’icona del ridicolo e la rovina del suo popolo. Ma che volete, nessuno è perfetto. Dunque in Italia (e solo in Italia) chiamarsi Mussolini non è considerato una colpa, e perché non sia neppure un problema basta non seguire Jim Carrey sui social, o non vedere che faccia fanno i doganieri, all’estero, quando leggono sul passaporto: Mussolini.
Considerata la situazione, e valutato il fatto che abbiamo tre partiti neofascisti (più la cospicua componente fascista della Lega), ci accontenteremmo di piccoli e confortanti ritocchi a un quadro largamente compromesso. Per esempio, se il pronipote del Duce non si chiamasse Caio Giulio Cesare, ma Beppe, e non si candidasse alle europee con Fratelli d’Italia, ma con un noioso partitello di centro, oppure non si candidasse affatto e gestisse una gelateria a Guidonia: beh, sarebbe già qualcosa.
Testo originale tratto da “Come il limoncello” de “L’Amaca” dell’8 aprile 2019