Letteratura

Scritto nel sangue

Bram Stoker conservò la sua prima lettera a Walt Whitman, uno scritto tortuoso e venerante, per quattro anni nella scrivania, prima di prendere sufficiente coraggio e spedirgliela.

di Bram Stoker (traduzione di Vincent Baker)

Walt Whitman, a sinistra, accanto a un giovane Bram Stoker

Nell’ultima biografia su Bram Stoker “Something in the blood”, dalla penna di David J. Skal, si può leggere lo scambio epistolare integrale, pubblicato per la prima volta, tra il futuro autore di “Dracula” e Walt Whitman. Stoker, commosso da “Foglie d’erba”, divenne un ardente fan di Whitman – tanto che con alcuni suoi colleghi del Trinity College si definirono i Waltwhitmaniti. Conservò la sua prima lettera al poeta, uno scritto tortuoso e venerante, per quattro anni nella scrivania, prima di prendere sufficiente coraggio e spedirgliela.

DUBLINO, IRLANDA, 18 FEB, 1872

Se siete l’uomo che presumo siate, ricevere questa lettera vi farà piacere. Se non lo siete, non mi importa se vi farà o meno piacere, e vi chiedo soltanto di gettarla nel fuoco senza leggerne avanti. Ma credo vi farà piacere. Non penso ci sia uomo in vita, perfino voi che siete al di sopra dei pregiudizi della classe degli uomini di mentalità ristretta, che non vorrebbe ricevere una lettera da un uomo più giovane, un estraneo, in tutto il mondo – un uomo che vive in un’atmosfera di pregiudizio per le verità che voi declamate e nel modo in cui le declamate. L’idea che sorge nella mia mente è se ci sia un uomo in vita che avrebbe il coraggio di strappare una lettera per cui abbia percepito il più piccolo atomo d’interesse senza averla letta. Credo lo fareste, e che voi stesso crediate che lo fareste. Potete bruciarla adesso e mettervi alla prova, e tutto quel che vi chiederò per la mia fatica d’avervi scritto questa lettera, che per tutto ciò che posso dire potrebbe servirvi ad accendere la vostra pipa o potreste utilizzare a qualche scopo più ignobile – è che, in qualche modo, mi concederete che le mie parole abbiano messo alla prova la vostra pazienza. Gettatela nel fuoco se volete – ma se lo fate vi mancherà il piacere della frase successiva, la quale potrebbe farvi pensare che avete sopraffatto un impulso indegno. Un uomo che è certo della propria forza potrebbe provare a incoraggiarsi con i passaggi d’elogio, ma un uomo che sa scrivere, come voi scrivete, le parole più schiette che siano mai state pronunciate dalle labbra di un uomo mortale – un uomo al cui confronto la schiettezza de “Le confessioni” di Rousseau sono reticenza – non può aver paura della propria forza. Se siete andato così in là potete leggere la lettera, e ora mi sento, mentre vi scrivo, come se vi stessi parlando. Se fossi di fronte al vostro volto, vorrei stringervi la mano, perché ho la sensazione che vi troverei piacere.

Vorrei chiamare VOI Compagno e parlarvi come uomini che non essendo poeti non parlano spesso. Penso che dapprima un uomo si vergognerebbe, poiché un uomo non può infrangere in un attimo l’abitudine alla ritrosia del confronto, se per lui è diventata una seconda natura; ma so che non proverei vergogna a lungo nell’essere spontaneo davanti a voi. Siete un uomo vero, e vorrei esserlo anch’io, e così sarei verso di voi come un fratello e come un allievo nei confronti del maestro. In quest’epoca nessun uomo diventa degno di tale titolo senza fatica. Vi siete scrollato di dosso le catene e le vostre ali sono libere. Io ho ancora le catene ai polsi – ma non ho le ali. Se continuate a leggere questa lettera, devo dirvi che non sono disposto a “rinunciare a tutto il resto” per quanto lontano andranno le parole. La sola cosa a cui sono disposto a rinunciare è il pregiudizio, e prima di conoscervi ho iniziato a buttare in mare il mio carico, pur se non è ancora esaurito. Non so come prenderete questa missiva. Non mi sono rivolto a voi in nessuna forma, poiché sento dire che non vi piacciono, in una certa misura, le forme convenzionali delle epistole. Vi scrivo perché siete diverso dagli altri uomini. Se foste medesimo alla massa non vi scriverei affatto. Così com’è che dovrei chiamarvi Walt Whitman o non chiamarvi affatto – e ho scelto quest’ultima condotta. Non so se sia insolito per voi ricevere lettere da estranei che non hanno nemmeno la pretesa di scrivervi per una fratellanza letteraria. Se così fosse, dovete essere spaventosamente tormentato dalle lettere e mi dispiace avervene scritta una. Ho, tuttavia, la pretesa di farvi piacere – perché le vostre parole sono la vostra anima e anche se non leggerete la mia, non è da meno per me il piacere di scrivervela. Shelley scrisse a William Godwin e diventarono amici. Non sono Shelley e voi non siete Godwin, pertanto spero solo di potervi incontrare un giorno faccia a faccia e magari stringervi la mano.

Se mai lo farò, sarà uno dei più grandi piaceri della mia vita… Il modo in cui sono giunto a voi è questo. Un manifesto delle vostre poesie apparve circa due anni fa o più sulla rivista Temple Bar. Gli diedi un’occhiata e presi il suo motto come inappellabile, e risi di voi tra amici. Lo dico per mia stessa vergogna, ma non come rimpianto, perché mi insegnò una lezione per il resto della vita – senza aver mai visto prima le vostre poesie. Più di un anno dopo sentii due uomini al college parlare di voi. Uno di loro aveva il vostro libro (l’edizione Rossetti) e leggeva ad alta voce alcuni passaggi di cui entrambi risero. Scelsero solamente quei versi che suonano più estranei a orecchio britannico, e se ne presero gioco. Qualcosa mi colpii, cioè che vi avessi giudicato in fretta. Portai a casa il volume e lo lessi fino a notte inoltrata. Da quella volta devo ringraziarvi per le molte ore felici, perché lessi le vostre poesie con la porta chiusa a mandate, fino a notte fonda, e le lessi in riva al mare dove potei guardarmi attorno senza vedere più alcun segno di vita umana, se non quello delle navi in ​​mare: e lì mi trovai spesso a ridestarmi da una fantasticheria con il libro aperto di fronte. Amo tutta la poesia, e gli alti e generosi pensieri che mi fanno scorrere le lacrime agli occhi; ma, a volte, una vostra parola o frase mi rapisce dal mondo circostante e mi colloca in una terra ideale circondata dalla realtà più di qualsiasi poesia che io abbia mai letto. L’anno scorso, in una giornata estiva, mi sedetti sulla spiaggia a leggere la vostra prefazione a “Foglie d’erba” stampata nell’edizione Rossetti…

Un pensiero mi colpii e ci riflettei sopra per diverse ore – “le navi segnate dal tempo battono nuovi porti,” voi che avete scritto le parole sapete meglio di quanto io possa: e per voi che cantate della vostra terra del progresso le parole hanno un significato che io posso solo immaginare. Ma statene certo di questo, Walt Whitman – che un uomo di meno della metà della vostra stessa età, allevato conservatore in un paese conservatore, e che ha sempre sentito il vostro nome urlato dalla grande massa di persone che lo menzionano, qui ha sentito il suo cuore balzare verso di voi attraverso l’Atlantico e la sua anima gonfiarsi delle parole o, meglio, dei pensieri. È vano per me citarvi un esempio di quali dei vostri pensieri io preferisca – perché mi piacciono tutti e dovete percepire che state leggendo le vere parole di chi vi percepisce. Vedete, vi ho chiamato con il vostro nome. Sono stato più schietto con voi – vi ho detto di me più di quanto abbia mai detto a nessuno prima. Non vi adirerete con me, se avete letto fin qua. Non riderete di me per avervi scritto questa missiva. Non è stata una piccola fatica iniziare a scrivervi e mi sento riluttante a smettere, ma non devo stancarvi oltre. Se mai vi interessasse avere più di quel che potete immaginare, poiché avete un grande cuore, quanto piacere sarebbe per me scrivervi di più. Com’è dolce per un uomo forte e sano con l’occhio di una donna e i desideri di un bambino sentire di poter parlare con un uomo che può essergli, se desiderasse, padre, fratello e moglie della sua anima. Non credo riderete, Walt Whitman, né mi disprezzerete, ma in ogni caso vi ringrazio per tutto l’amore e la compassione che mi avete dato, in comune con la mia specie.

– Bram Stoker

41 STEVENS ST. CAMBDEN,

1. JERSEY, COR. WEST.

U.S. AMERICA, 6 marzo, ’76


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