di Vincent Baker

Una delle cose che mi rendono più felice è, senza dubbio, l’amicizia. Sarà perché in amore sono un tipo possessivo. Lo ammetto: sono un inguaribile geloso. Della donna che frequento, ma mai degli amici. L’ultima ragazza l’ho lasciata io, perché non potevo più sopportarmi: ero geloso, mi odiavo, odiavo soffocarla. Traumi infantili, esperienze sbagliate, chissà. Siamo rimasti amici… Ci incontriamo in biblioteca, chiecchieriamo del più e del meno, prendiamo un caffè, ci sorridiamo complici. È l’amicizia la forma perfetta dei sentimenti. Un amore puro, senza gelosie causate dal possesso della carne e dalla paura di essere ingannati. Niente pose o finzioni. Penso a tutti gli anni meravigliosi trascorsi in compagnia dei miei più cari amici. A paragone, con le fidanzate è stato un disastro. Non che non abbia vissuto delle belle storie d’amore. Dico con certezza che qualcuna sarebbe potuta essere la donna della mia vita, quella che avrei sposato, la madre dei miei figli. Ma al confronto con la spontaneità dell’amicizia, ahimè, nessuna relazione ha retto. Spesso mi fermo a ricordare, invece, quanto sia stato senza patemi d’animo con gli amici. Gli aiuti, le comprensioni, le confessioni, le telefonate puntuali a casa prima che arrivassero i cellulari; le riunioni per organizzare una gita, le vacanze estive, le grigliate, le serate in spiaggia sperando di scorgere una stella cadente (ed esprimere il desiderio che rimanessimo amici per sempre); le chitarre, le canne, facendo a gara a chi sapeva farle meglio; e i concerti fin chissà dove, guidando e dormendo a turno; le sbornie – guidando! – tenendosi a vicenda i capelli lunghi alla moda per non insozzarli di vomito, o gli anni tutti coi capelli cortissimi; i capodanni, le serate improvvisate in mezzo alla settimana in mezzo al nulla; e i picnic pasquali nel giardino di questo o di quello. In questo senso, non ho mai distinto tra uomo e donna. Nessuna distinzione di nessun tipo, quand’è amicizia. Queste gioie, ecco, con una fidanzata non le ho mai provate, non le ho mai vissute in modo così spensierato.

C’è questo mio grande amico, per dirne uno; ma non uno a caso: Daniele. È un tipo tutto d’un pezzo, come direbbe uno scrittore americano. Non è belloccio e non brilla per nulla in particolare. Daniele parla poco, ma quando parla dice solo cose giuste. Le condivido sempre. Abbiamo raramente opinioni divergenti. Tifa per un’altra squadra, okay, ma col calcio riusciamo a metterci d’accordo. Poco da fare: quando Daniele ha ragione ha ragione. Lo chiamiamo Acquaragia. No, nessuna presa in giro, solo un soprannome da sempre. Tutto alla luce del sole: massima fedeltà, grande trasparenza, zero scherno o dileggio. Non saprei se il soprannome sia spuntato fuori per un gioco di parole, visto che ha sempre ragione; forse è perché puzza di solvente. Tutte quelle ore a dipingere modellini da guerra e miniature fantasy devono avergli intriso la pelle di nitro. Per me non puzza; forse un po’ all’inizio, appena conosciuto, dieci anni fa. Oggi, la puzza d’acquaragia non si sente più, per abitudine, forse perché a trent’anni Daniele ha smesso di giocare con pennelli e soldatini. O solo perché io gli voglio quel bene dell’anima che fa passare sopra a tutto. La prima volta che ci siamo piantati gli occhi l’uno nell’altro come due pistoleri, ho capito subito che saremmo stati inseparabili. Feeling immediato, attitudine, complementarità. Lui iniziava una battuta, io la completavo, lui fischiettava una musichetta e io il controcanto, e viceversa. Amiamo le stesse band gli stessi film leggiamo gli stessi libri. Ci piacciono le rosse. Ci raccontiamo t-u-t-t-o. Forse, lui, è in assoluto il mio migliore amico. La mia ex diceva di non sopportarlo…
«Daniele? Ma quanto puzza di benzina? Non so come fai a stargli a meno di due metri. Oh, ti giuro, io lui neanche con un dito». Mi accusava di trascorrere troppo tempo con gli amici, tanto più con Daniele, trascurando lei. «Insomma,» mi diceva, «pare che la tua ragazza sia uno a caso tra i tuoi amici, invece che la sottoscritta!» con smorfia e ditino a sottolinearlo. Alle mie ragazze è sempre piaciuto definirsi la sottoscritta, non so perché. Mi trattenevo a stento dal ridere per non peggiorare le cose. Provavo a spiegarle che la cosa era diversa, che nessuna escludeva l’altra e che i due tipi di rapporto si basano su presupposti diversi. Ma non c’era verso. Una domenica, mentre ci prepariamo per raggiungere i miei amici (che, ormai, frequentava anche lei che io ci fossi o meno) le metto fretta, visto che siamo già in ritardo di mezz’ora. Mi strilla: «Sai che ti dico? Che per me tutta questa fretta non ce l’hai mai! Sai che ti dico? Che ora a questo cazzo di pomeriggio con i tuoi amici ci vai da solo e, a me, non mi vedi più!» Lì su due piedi non sapevo che dirle; ma sentivo già addosso una strana leggerezza, così colsi l’occasione per dirle: «Sì, credo sia meglio così, per entrambi,» senza dare importanza alle parole. Di lei non mi sarebbe mancato nulla, tantomeno la sua passione per me mal simulata.

Un mese dopo, mentre m’incammino per raggiungere la banda in birreria, incrocio Andrea, un altro amico, e facciamo la strada insieme. «Sai che ti dico,» mi fa senza guardarmi – e il suo preambolo mi fa sussultare per un déjà-vu -, «No, dimmi…» ed è come se avessi una preveggenza di quelle che non inquadri, ma che quando poi qualcuno ti aiuta a metterle a fuoco ti risultano chiarissime. Andrea tentenna. «L’altro pomeriggio ho visto Acquaragia e la tua ex che si baciavano in strada come due indemoniati,» e fa un’espressione della serie io non ti ho detto niente, facciamo che li hai visti tu. Per come sono, la quintessenza dell’orgoglio, non do soddisfazione a niente e a nessuno e, freddo come il marmo, rispondo monocorde: «Mah, mi sembra strano. Lei non l’ha mai sopportato». Ed è proprio in quell’istante che una flessione nel tono della voce mi tradisce, «anzi, mi ha detto spesso quanto lo trovi insopportabile, brutto, insulso, con quella puzza di benzina addosso.» Questa è la cosa più cattiva a discredito di Acquaragia che mi viene da dire e che, in ogni caso, corrisponde a verità. «Mah. Sicuro?» domando ad Andrea, sapendo quanto sia retorico. La sua espressione parla chiaro. Andrea per queste cose ha un occhio di lince. Controllo Facebook e, la mia morosa, cioè, voglio dire, la mia ex e Acquaragia, da qualche giorno, hanno cominciato a scambiarsi milioni di like pure sulle stronzate. Ricette, micetti, meme. La mia freddezza dura un nano-unisci i puntini. Daniele in birreria non c’è, esco dal locale e gli telefono sull’orlo della furia. «Ehilà, Acquaragia, grandi novità mi giungono». Dall’altra parte silenzio. Prima che io ricominci, bofonchia: «Cioè?» Lo incalzo: «Boh, sai… non è questione di gelosia per Sara, non stiamo più assieme,» ed è vero, neanche mai stato innamorato, «ma, sai, dato che io e te ci consideriamo super amici – almeno io – e dato che ci incontriamo tutti i giorni, mi sarei aspettato che me lo dicessi; non un uccellino, cioè, che me lo raccontassi tu, che avete iniziato una storia». Il silenzio dall’altra parte mi pugnala, mi sembra di stare al telefono con 007 che bada solo a sistemarsi lo smoking. Acqua, dopo qualche secondo lungo come l’inverno, dice solo: «Non sono affari tuoi». Lo dice in modo volgare. Resto interdetto; provo un non-so-che accostabile alla lesa maestà, vorrei rispondere in modo altrettanto distaccato, ma nel mio cervello si cancella qualunque parola del vocabolario.
L’amicizia, penso. L’amicizia viene prima di tutto; prima degli amori e delle squadre di calcio. Okay, ma vale solo per me? A pensarci, non ho nessuna ragione da rivendergli, né che io possa pretendere. Chiudo. Raccolgo la mandibola. Non bevo la birra che mi offrono, ho lo stomaco sottosopra, un senso di torto e d’angoscia (la coda di paglia?). Saluto gli amici che mi guardano come un cane bastonato e me ne torno a casa, pensandoci su per la strada. In fondo, penso, Daniele è un tipo tutto d’un pezzo, come direbbe Clint Eastwood, oppure mio nonno. Non è un belloccio. Continuo a pensare che non brilla per niente e non capisco che cosa ci possa trovare in lui una donna. Io penso e parlo troppo. Lui parla poco, e quando parla dice sempre cose giuste. Senza indossare uno smoking, senza sistemarselo telefono in mano, senza alcuna pretesa o atteggiamento. Quando Acquaragia ha ragione, semplicemente, ha ragione.