di Terry Passanisi

Una delle cose che mi rendono più felice è, senza dubbio, l’amicizia. Sarà perché, in amore, sono un tipo possessivo. Lo confesso: sono un inguaribile geloso. Della donna che frequento, mai degli amici. L’ultima ragazza l’ho lasciata io, ma solo perché non potevo più sopportarmi: ero geloso, odiavo soffocarla. Traumi infantili, esperienze sbagliate, chissà. Ma siamo rimasti amici… Ci incontriamo in biblioteca, cianciamo del più e del meno, prendiamo un caffè, ci sorridiamo complici. Ritengo l’amicizia la forma perfetta dei sentimenti. È l’amore più puro, senza gelosie prodotte dal possesso della carne. Nessun atteggiamento, niente pose o finzioni. Penso a tutti gli anni meravigliosi trascorsi in compagnia dei miei più grandi amici. A paragone, con le fidanzate è stato un disastro. Non che non abbia vissuto belle storie d’amore, anzi. Dico con certezza che qualcuna di loro poteva essere la donna della mia vita, quella che avrei sposato, la madre dei miei figli. Ma al confronto con la spontaneità dell’amicizia, ahimè, nessuna relazione ha retto. Mi fermo spesso a ricordare, invece, quanto mi sia divertito con gli amici. Quanto siamo stati bene: gli aiuti, le comprensioni, le confessioni, le telefonate puntuali a casa prima che arrivassero i cellulari; le riunioni per organizzare una gita, le vacanze estive, le grigliate, le serate in spiaggia, sperando di scorgere una stella cadente (ed esprimere il desiderio che rimanessimo amici per sempre); le chitarre, le canne, facendo a gara a chi sapeva farle meglio; e i concerti fin chissà dove, guidando e dormendo a turno; le sbornie – pure guidando – tenendosi a vicenda i capelli lunghi alla moda per non insozzarli di vomito, o gli anni tutti coi capelli cortissimi; i capodanni, le serate improvvisate in mezzo alla settimana, in mezzo al nulla; e i picnic pasquali nel giardino di questo o di quello. In questo senso, non ho mai distinto tra uomo e donna. Nessuna distinzione di nessun tipo, quand’è amicizia sincera. Tutte queste gioie, ecco, con una fidanzata non le ho mai provate, non le ho mai vissute in modo così spensierato.

C’è questo mio grande amico, per dirne uno; ma non uno a caso: Daniele. È un tipo tutto d’un pezzo, come direbbe uno scrittore americano. Non è un belloccio e non brilla per nulla in particolare. Daniele parla poco, ma quando parla dice solo cose giuste. Le condivido sempre. Abbiamo raramente opinioni divergenti. Tifa per un’altra squadra, okay, ma col calcio riusciamo a metterci d’accordo. Poco da fare: quando Daniele ha ragione ha ragione. Lo chiamiamo Acquaragia. No, nessuna presa in giro. Un soprannome. Tra i miei amici è tutto alla luce del sole: massima fedeltà, grande trasparenza, zero scherno o dileggio. Non saprei se il soprannome sia spuntato fuori per un gioco di parole, visto che ha sempre ragione; forse perché puzza di solvente. Tutte quelle ore a dipingere modellini da guerra devono avergli intriso di nitro la pelle. Per me non puzza; forse un po’, all’inizio, appena conosciuto, dieci anni fa. Oggi, la puzza d’acquaragia non la sento più, forse per abitudine, forse perché a trent’anni Daniele ha smesso di giocare con pennelli e soldatini. O solo perché gli voglio quel bene dell’anima che fa passare sopra a tutto. La prima volta che ci siamo piantati gli occhi l’uno nell’altro come due pistoleri, ho capito subito che saremmo stati inseparabili. Feeling immediato, attitudine e complementarità. Lui iniziava una battuta, io la completavo, e viceversa. Amiamo la stessa musica, gli stessi film, leggiamo gli stessi libri. Ci piacciono le rosse. Ci raccontiamo t-u-t-t-o. Forse, lui, è in assoluto il mio migliore amico. La mia ex diceva di non sopportarlo.
«Daniele? Ma quanto puzza di benzina?! Oh, ti giuro, io lui neanche con un dito.»
Lei mi accusava sempre di trascorrere troppo tempo con gli amici, tanto più con Daniele, trascurando lei. «Insomma,» mi diceva, «pare che la tua ragazza sia uno a caso tra i tuoi amici, invece che la sottoscritta!»
Alle mie ragazze è sempre piaciuto definirsi la sottoscritta, vai a sapere perché. Mi trattenevo a stento dallo sghignazzare per non peggiorare la situazione. Provavo a spiegarle che la cosa era diversa, che nessuna escludeva l’altra e che i due tipi di rapporto si basano su presupposti che non si intaccano l’un l’altro. Ma non c’era verso. Una domenica, mentre ci prepariamo per raggiungere i miei amici (che, ormai, frequentava anche lei che io ci fossi o meno), le metto fretta, visto che siamo già in ritardo di mezz’ora. Mi strilla: «Sai che ti dico? Che per me tutta questa fretta non ce l’hai mai! Sai che ti dico? Che ora a questo cazzo di pomeriggio con i tuoi amici ci vai da solo e, a me, non mi vedi più!» Lì su due piedi non so che dirle; ma sento già addosso una strana leggerezza, così colgo l’occasione per dirle: «Sì, credo sia meglio così per entrambi,» senza dare importanza alle mie parole. Di lei non mi sarebbe mancato nulla, tantomeno la sua passione per me mal simulata.

Un mese dopo, mentre m’incammino per raggiungere la banda in birreria, incrocio Andrea, un altro amico; facciamo la strada insieme. «Sai che ti dico,» mi fa senza guardarmi – e il suo preambolo mi fa sussultare per un déjà-vu -, «No, dimmi…» ed è come se avessi una preveggenza, una di quelle che non inquadri, ma che quando poi qualcuno ti aiuta a metterle a fuoco ti risultano inconfutabile. Andrea tentenna. «L’altro pomeriggio ho visto Acquaragia e la tua ex che si baciavano in strada come due indemoniati,» e fa un’espressione della serie io non ti ho detto niente, facciamo che lo sapevi già. Per come sono fatto, la quintessenza dell’orgoglio, non do soddisfazione a niente e a nessuno e, freddo come il marmo, rispondo monocorde: «Mah, mi sembra strano. Lei non l’ha mai sopportato.» Ho una flessione nel tono della voce che mi tradisce, «Anzi, mi ha detto spesso quanto lo trovi insopportabile, perfino brutto, con quella puzza di benzina addosso.» Questa è la cosa più cattiva, a discredito di Acquaragia, che mi viene da dire e che, in ogni caso, corrisponde a verità. «Mah. Ne sei sicuro?» domando ad Andrea, sapendo quanto sia superfluo. La sua espressione parla chiaro. Andrea per queste cose ha un occhio di lince. Controllo Facebook e, la mia morosa, cioè, voglio dire, la mia ex morosa e Acquaragia, da qualche giorno, hanno cominciato a scambiarsi un milione di like pure sulle stronzate. Ricette, micetti, meme. La mia freddezza dura il tempo di un nano-ragionamento. Daniele in birreria non c’è, esco dal locale e gli telefono, sull’orlo della furia. «Ehilà, Acquaragia, grandi novità mi giungono all’orecchio.» Dall’altra parte silenzio. Prima che ricominci, lui bofonchia: «Cioè?» Lo incalzo: «Boh, sai… non è questione di gelosia per la mia ex, non stiamo più assieme,» ed è vero, mai stato innamorato per un attimo, «ma, sai, dato che io e te ci consideriamo grandi amici, almeno io, nei tuoi confronti, e dato che ci incontriamo tutti i giorni, sai, mi sarei aspettato che me lo raccontassi; non un uccellino, cioè, tu, che hai iniziato una storia con…». Dall’altra parte il silenzio mi gela. Mi sembra di stare al telefono con 007 che pensa a sistemarsi lo smoking. Lui, dopo qualche secondo lungo come l’inverno, dice solo: «Non sono affari tuoi.» Lo dice in modo volgare. Resto interdetto; provo un non-so-che accostabile alla lesa maestà, ma non ho di che ribattere.
L’amicizia, penso. L’amicizia viene prima di tutto; prima delle donne e delle squadre di calcio. Okay, ma vale solo per me? A pensarci bene, non ho nessuna ragione da rivendergli, né che io possa pretendere. Chiudo. Raccolgo la mandibola. Non bevo la birra che mi offrono, ho lo stomaco sottosopra, un senso di torto e d’angoscia (la coda di paglia?). Saluto gli amici che mi guardano come fossi un cane bastonato e me ne torno a casa, pensandoci su per tutta la strada. In fondo, penso, Daniele è un tipo tutto d’un pezzo, come direbbe Clint Eastwood, oppure mio nonno. Non è un belloccio. Continuo a pensare che non brilla per niente e non capisco che cosa ci possa trovare in lui una donna. Io penso e parlo troppo. Lui parla poco, e quando parla dice sempre cose giuste. Senza indossare uno smoking, senza sistemarselo cornetta in mano, senza alcuna pretesa o atteggiamento. Quando Acquaragia ha ragione ha ragione.