a cura de Il verbo leggere

Avviso ai lettori: questo libro vi farà riflettere e vi spezzerà il cuore. Leslie Feinberg ha scritto Stone Butch Blues con l’intento di dare voce ai membri della comunità LGBTQ+ e, in particolare, a quelli di genere non binario. I personaggi di Feinberg vengono rifiutati perché non sono considerati/e come “veri” uomini o “vere” donne: Jess, la voce narrante del libro, deve fare i conti con un un mondo che sembra non poter prescindere dalla distinzione binaria tra maschile e femminile.
In Stone Butch Blues viene denunciata la crudeltà di una società cieca e crudele, incapace di superare la lacaniana “segregazione urinaria”:
Il gabinetto come luogo di identificazione di genere è in accordo con l’educazione ricevuta da bambini e bambini rispetto all’uso dei servizi pubblici (…) e (…) con alcune delle loro prime affermazioni pubbliche di differenza di genere. (…) In altri termini, ci muoviamo in piena binarietà. Il vecchio binarismo, la vecchia divisione “tra i sessi”, il tabù supremo della scuola (bagno dei maschi/bagno delle femmine) diventa un test di genere. (Interessi truccati, Marjorie Garber)
Per Jess non è facile decidere quale porta varcare, scegliere tra il simbolo dell’omino o quello della donnina: per un transgender, per un transessuale, per un intersessuale, per una persona non binaria questa scelta può diventare un difficile banco di prova. Il modo in cui tu, singolo, “leggi” e definisci la tua identità di genere è destinato ad entrare in contrasto col modo in cui gli altri “ti leggono”.
Sei una femminuccia o un maschietto? Sin dall’infanzia, Jess si sente rivolgere questa domanda, una domanda scomoda: nella puritana America degli anni Cinquanta tutti sembrano essere ossessionati dal genere, dalla necessità di poter incasellare ogni persona in un determinato spazio prestabilito. Il fiocco può essere o rosa o azzurro: esistono linee invalicabili, confini che separano l’uomo dalla donna, il bianco dal nero. […]