a cura de Il verbo leggere
Il titolo di questo libro è tutto un programma… Jettatura di Théophile Gautier (Liber Liber) è sì la storia di un possibile menagramo, ma è anche un viaggio letterario in una Partenope vivace e colorata, popolare e superstiziosa. Credo che sia sempre interessante avere la possibilità di osservarsi con gli occhi degli altri, di scoprire come gli scrittori stranieri hanno descritto le bellezze del nostro paese. Siete pronti a fare le valigie e a partire alla volta della Napoli ottocentesca?
Questo romanzo breve si apre con una splendida panoramica del golfo della città:
Quella lunga linea di colline che, da Posillipo al Vesuvio, disegna il golfo meraviglioso in fondo al quale Napoli si riposa come una ninfa marina che si asciuga sulla riva all’uscire del bagno, cominciava a pronunciarsi colle sue ondulazioni violacee e si staccava con un colore più marcato dell’azzurro scintillante del cielo; e già qualche punto bianco, picchiettando il fondo scuro del quadro, tradiva la presenza delle ville sparse per la campagna.

Paolo D’Aspromonte, un giovane dall’aspetto luciferino, sta per sbarcare sulle coste campane, dove lo aspetta la sua fidanzata. Il suo traghetto entra in porto insieme ad alcune barche a vela, che scivolano sul maestoso mare blu come piume di cigni. L’approdo è per lui una sorta di linea d’ombra: il giovane francese ha lasciato il mondo nordico in cui è sempre vissuto, un emisfero freddo e razionale, per entrare in una terra solare e vitale, ma anche selvaggia superstiziosa. Sì, Gautier in Jettatura non rifugge i luoghi comuni sull’Italia, anzi li piega a suo vantaggio…
Paolo, una volta lasciati i suoi bagagli in albergo, sale in carrozza e si fa condurre alla villa della sua amata. La dimora della bella Alicia è sia una sorta di giardino d’Armida, sia un inno alla flora mediterranea:
Al piede dei muri, i fichi d’India, gli aloe e i corbezzoli crescevano in un graziosissimo disordine; e al di là d’un bosco, di sopra al quale s’innalzavano una palma e tre pini d’Italia, la vista stendendosi sopra un terreno ondulato, sparso di ville, si fermava alla violacea montagna del Vesuvio, o si perdeva nell’azzurra immensità del mare.
Questo romantico angolo di paradiso, a un primo sguardo, sembra una celebrazione della vita e della gioia, ma, a ben guardare, ha un fascino decadente, elegiaco. La delicata Alicia si è rifugiata in questo giardino per sfuggire alle fredde nebbie di Albione, ma l’angelo della morte sembra averla appena raggiunta. La fanciulla, grazie all’attenta vigilanza di suo zio, ha ritrovato i colori che aveva perduto e si è trasformata in una sana ragazza di campagna, ma ora, sotto lo sguardo del suo promesso sposo, questa rosa inglese pare impallidire ed appassire a vista d’occhio.

Paolo è approdato a Napoli per coronare il suo sogno d’amore, ma un’ombra è scesa sulla sua felicità: la iettatura. D’Aspromonte non conosce ancora il significato di questa parola, ma lo scoprirà presto. Dopo essersi accorto che in seguito alla sue visite la sua amata sembra illanguidire sempre di più, il giovane si concede una triste passeggiata per le vie della città.
I tipici cornetti napoletani e gli altri souvenir “scaccia iella” esposti in bella vista nei negozi sembrano irridere l’innamorato. I superstiziosi abitanti della città lo osservano di sottecchi e mormorano tra di loro, accennando gesti scaramantici. […]
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