Cultura Letteratura Società

Walt Whitman e la religione

Raramente siamo in grado di cogliere la 'divinità' negli altri, tantomeno in noi stessi. Ma la verità più profonda e rivoluzionaria della teoria di Whitman è che tutti quanti siamo espressioni dirette di un eterno Dio dell’universo.

di Terry Passanisi

whitman

Visti gli Stati Uniti di questi due primi decenni degli anni 2000, mi viene spontaneo chiedermi: ma l’America ce l’avrà ancora una religione? Sembra una domanda eccentrica e, se non altro, complicata da porre. Partiamo da una base del tutto semplice. Un bel po’ di americani professano una certa religione, non ci piove, un’altra fetta un altro tipo; molti di loro non ne professano alcuna. Se c’è una convinzione comune nella stragrande maggioranza degli americani è che la fede dev’essere sempre una questione privata, e ognuno è libero di praticarla come meglio crede. Nonostante ciò, l’impegno collettivo di provare a tenere separati Stato e Chiesa molto difficilmente può essere definito una fede spirituale in sé.

Che il governo debba rimanerne fuori, e la religione reciprocamente fuori dalla politica, è uno dei principi profondamente radicati nei costumi americani, tanto quanto quello della libertà d’espressione a cui è legato a doppio filo. Voltaire ringrazia, e pure io non voglio essere da meno nel tenermi stretto quel principio. Provo inoltre una naturale empatia, di mio, per tutti coloro (cittadini di ogni latitudine del pianeta, figuriamoci per gli americani senza bussola di questi tempi bui…) i quali sono accomunati e mossi nel tessuto sociale da qualcosa di più che i meri diritti e doveri dettati da una Carta, da lì in poi, dove finisce il dettame condiviso dell’apparato statale. Sono certo che questo non sia solo il loro sogno idealistico senza capo né coda; perché l’America è di fatto già tenuta insieme da uno spirito comune ideale, anche se difficilmente riconoscibile come tale. Walt Whitman descrisse quell’ideale comune nel suo saggio Democratic Vistas già nel 1871.

Irriducibile democratico, Whitman credette fermamente nel governo di, da e per la gente. Fu anche un fiero campione in difesa delle diversità. Ma il tipo di diversità che Whitman difese a spada tratta non fu quello d’insieme o di genere, almeno non come li intendiamo oggi. Fu la diversità individuale soprattutto, quella soggettiva, che Whitman venerò più di qualunque altra. In tal senso, venerare è un termine perfino troppo debole per descrivere lo sgomento emotivo che Whitman sperimentò nei confronti dell’unicità di ogni singolo individuo incontrato in vita; dalla povera prostituta brufolosa che esercitava la professione in un vicolo, fino al presidente in persona e al suo governo intenti nei loro signorili raduni alto-borghesi. Tutti sullo stesso piano. In ognuno di loro vide, prima di tutto, un essere umano infinitamente complesso, indipendente, come nessun altro presente in terra.

Whitman sostenne con fermezza che ogni essere umano contribuisce in maniera univoca alla storia del mondo e in tal modo, nel suo limite individuale, all’eternità universale. Espresse quel principio in una sola parola. Fu il primo a utilizzare la definizione per cui ogni individuo è di per sé divino. Raramente siamo in grado di cogliere tale divinità negli altri, tantomeno in noi stessi. Ma la verità più profonda e rivoluzionaria della teoria di Whitman fu che tutti quanti siamo espressioni dirette di un eterno Dio dell’universo.

Il vero fine della democrazia americana, dichiarò lo scrittore, dev’essere quello di stabilire un sistema di leggi che tratti tutti quanti alla pari, tanto da poter concedere ai cittadini la piena libertà e la totale sicurezza di esplorare quella diversità divina innata; quella che ci contraddistingue l’uno dall’altro, non gruppo da gruppo, ma singolo individuo da singolo individuo. Il conseguimento di questo più alto obiettivo si trova in un lontano futuro, al di là della democrazia e dell’uguaglianza, al di là dello stato di diritto e del principio di tolleranza. Ma deve essere l’obiettivo ultimo, qualcosa di gran lunga più prezioso di tutti gli altri principi. Whitman coniò pertanto il concetto di principio religioso americano, nonostante il termine religioso suoni davvero bizzarro sulle sue labbra.

Per la maggior parte degli americani, ancora oggi, la parola religione sta a indicare le fedi abramitiche. Esse si basano tutte sulla convinzione che il mondo sia stato creato dal nulla, da un Dio al di là dello spazio e del tempo. Da questo punto di vista, la più grande eresia che si possa immaginare è proprio l’affermazione per cui il mondo stesso è eterno. Ma questo è esattamente ciò in cui credeva Whitman. A differenza di molti atei – ah, perché, non l’avevate ancora intuito? –, Whitman fu convinto che ogni essere umano è inondato di per sé da un mare di divinità. E a differenza di ogni cristiano, ebreo e musulmano, sostenne che l’eternità che impregna finanche i recessi più nascosti del mondo non è il dono di un Dio, ma la più grande proprietà del mondo stesso – dove mondo e Dio si fondono, diventando due parole distinte per uno stesso concetto.

Nonostante la spiritualità di Whitman sia stata talvolta accomunata a una forma di panteismo, il suo precipuo rispetto per l’individuo non ha controparte nelle filosofie panteistiche dell’antichità pagana o in quelle orientali dello stesso genere. Per Whitman è proprio il lascito – il bagliore residuo – delle fedi abramitiche ad aver conferito per primo un’individualità di valore infinito a ogni uomo e a ogni donna. Una definizione più significativa per questa filosofia spirituale potrebbe essere, tanto per proporne una, paganesimo rinato: una riaffermazione vera e propria della misura di unità fondamentale di Dio e del mondo, arricchita dall’insegnamento centrale delle tre religioni creazioniste che pur continuano in ogni modo, con tanta sanguinaria veemenza, ancora oggi, a mantenersi separate e ben distinte l’una dall’altra. Questo paganesimo rinato donerebbe una profondità spirituale alla cultura americana dell’individualismo. Ritaglierebbe la giusta importanza al rispetto per la diversità, ed eviterebbe i peggiori eccessi delle politiche di identità. Darebbe, di ritorno, un Dio magnificato, mai messo in discussione, giusto. Il paganesimo rinato indotto da Whitman sarebbe, quindi, la religione perfetta per l’America contemporanea.

Nessun americano può essere costretto, naturalmente, ad abbracciare una fede spirituale invece di un’altra, ma quelli che lo stanno già facendo trovano più facile capire che, nonostante tutto, nonostante le più grandi contraddizioni sociali e i più grandi fallimenti economici, nonostante le continue campagne di guerra, nonostante l’apocalisse Trump, l’impegno di ogni cittadino per la separazione tra Chiesa e Stato rimane uno dei capisaldi della nazione americana e di tutte le democrazie del mondo. Anche da noi in Italia, una volta tanto, sarebbe il caso di importare dagli Stati Uniti qualcosa di (finalmente) sano e profondo. Evviva il vecchio zio Walt!

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