di Antonella Quaglia

“C’era del fuoco vivo in quella donna”, si legge in un passaggio dell’opera di Maurizio Ponticello La vera storia di Martia Basile, e non vi potrebbe essere definizione più giusta per una figura femminile la cui esistenza è stata di esempio per i suoi contemporanei, e dovrebbe esserlo anche oggi. Martia Basile è stata una donna senza paura, indomita, intelligente e anticonformista; nel corso della sua breve vita ha sperimentato l’orrore della brutalità umana, ma mai si è arresa al suo sfortunato destino, lottando per il proprio diritto di esistere. Con una scrittura cruda e poetica insieme, alternata a una versione addolcita del dialetto parlato al tempo, l’autore ci conduce in una trama che lascia senza fiato e che dà assuefazione. Non si può infatti smettere di leggere un romanzo tanto magnetico e immersivo da riuscire a trasportare il lettore nelle atmosfere della Napoli a cavallo tra il XVI e XVII secolo: si ha la sensazione di respirare i miasmi dei vicoli poveri della città partenopea e l’odore di putrefazione dei cadaveri lasciati a marcire, di percepire la disperazione che satura l’aria, di avvertire l’orrore che sembra scorrere sotto una terra dominata dall’irrequieto Vesuvio, che si nasconde dietro i gesti dei timorati di Dio, che si consuma all’interno delle pareti domestiche.

Incontriamo Martia quando ha dodici anni, il giorno del suo matrimonio; un’unione sicuramente non d’amore ma di interesse e lei, la vittima sacrificale, non ha idea dell’inferno che di lì a poco affronterà. È una caduta dolorosa e inevitabile verso l’abisso quella di Martia Basile: prima sposa bambina, poi oppressa dalle atrocità umane e infine martire, sacrificata sull’altare della superstizione e dell’ignoranza. Maurizio Ponticello rispolvera una storia raccontata da un cantore dell’epoca, tale Giovanni della Carretòla, e dopo un duro lavoro di ricerca ci presenta la vicenda dell’audace giovane donna cercando di restituire la verità sulla sua vita e sulla sua morte. Una verità che non ammette scuse o censure, che va raccontata nella sua disumanità ma anche nella sua straordinarietà. Martia ha conosciuto la violenza e la tortura, la fame e la solitudine, ma ciò che più preme all’autore è di raccontare la passione che ha animato il suo cuore, la forza che ha avuto nell’attraversare le tenebre dell’ingiustizia, la dignità che ha dimostrato anche quando le è stato tolto tutto. Un diamante grezzo nel fango è stata Martia Basile; un esempio di coraggio in un mondo codardo.