Letteratura

La Forma. Intervista a Valentina Maini.

Ripubblichiamo l'intervista a Valentina Maini (che si legge “Maìni”), autrice del romanzo “La mischia” (Bollati Boringhieri, 2020). Il romanzo ambientato tra i Paesi Baschi e Parigi, racconta del viaggio di Gorane per ritrovare il suo gemello Jokin.

a cura di COYE – Periferie letterarie

La scrittrice Valentina Maini

Valentina: adesso mi si è bloccato tutto, voi continuate a vedermi?

Andrea: io non posso registrare. Se volete segnalo un abuso, è l’unica cosa che posso fare.

Flavia: sto registrando io, comunque.

Filippo: registriamo insieme.

Andrea: scusaci.

Valentina: no, no, io mi sento molto più a mio agio così. 

Dopo aver sistemato le questioni tecniche, superati i problemi tipici delle nuove forme di comunicazione, siamo rimasti in tema parlando del rapporto fra forma e narrazione nel testo. Parla Filippo Ferraresi, consulente psicologico.

Filippo: direi di cominciare. Allora. La prima domanda. Ci siamo chiesti se il terzo capitolo (Arrautza) è nato per il tentativo di dare una geometria al libro, una forma tripartita, oppure se è nato al livello di storia… non so se sono stato chiaro. La domanda è: nella scrittura di questo libro a guidarti è stata principalmente la forma oppure il flusso narrativo?

Valentina: Struttura e contenuto vanno insieme, si influenzano. Avevo un’idea tripartita, volevo dare l’immagine di una stessa vita da tre punti di vista diversi: di un gemello, dell’altro e dei genitori, che, pur essendo dei fantasmi, sono il punto d’origine di tutto. Avevo bisogno che non passassero per cattivi e basta. Se non gli avessi dato parola, sarebbe stato molto più facile giudicarli come dei pazzi, e non volevo. Dovevano essere fantasmi, ma umani. 

Filippo: una domanda strana: come mai non ci sono le virgole?

Valentina: è la sintassi che più si avvicinava alla voce con cui i genitori parlavano nella mia testa. Capisco che possa dare fastidio, sembrare uno sperimentalismo inutile, ma per me aveva senso.

FIlippo: bene. Chi va, ragazzi?

Flavia dice “vado io”, Filippo muta il microfono, Andrea annuisce. 

Flavia Di Mauro, attivista sensibile ai movimenti indipendentisti baschi, è curiosa di sapere se la carica rivoluzionaria dei personaggi si rifletta in qualche modo nella scrittura dell’autrice. 

Flavia: vado io, che ne ho una su questa linea. Fra parentesi: (la cosa delle virgole per me ha funzionato, sembrava che parlassero dalla loggia nera di Twin Peaks). In ogni caso, noi abbiamo riconosciuto alcune influenze, tipo Faulkner, Bolaño, Wallace. A che distanza volevi porti, quanto volevi avvicinarti? Questa è la forma che volevi dare a “La mischia” perché ti sembrava giusta per la storia oppure la senti proprio tua e la utilizzerai anche in futuro?

Valentina: io non mi sono ancora centrata come scrittrice e non credo che lo farò. Credo che andrò avanti a decentrarmi e a disorientarmi sempre. Sentivo che questa era la forma di questo libro. Per me è stato strano, prima scrivevo cose molto asciutte e chiuse. La Mischia non rispondeva per niente alla mia idea astratta di scrittura. Quindi non è quello che farò sempre. Io credo di avere la capacità di accettare la libertà di quello che scrivo, il fatto che i libri andranno in un modo tutto loro, e io non c’entro niente. Questo testo mi è arrivato in questa forma… era questa la domanda, vero?

Flavia: sìsìsì

Valentina: cioè, se in questa forma mi riconosco. No, io non mi riconosco in questo. Ma magari non mi riconoscerò nemmeno nel romanzo che sto scrivendo adesso.

Flavia dice che ha capito, Filippo dice che ha capito, Andrea dice che ha capito. Andrea, che è Andrea Migliorini ed è un linguista generativo non ortodosso, cioè in pratica gli piace Chomsky, ma nemmeno gli piace tanto, vuole saperne di più sulla questione dell’internet point e del maniaco.

Andrea: vado io allora. Farò casino nella domanda, però ce l’ho chiara. La cosa che mi interessa è come ti poni tu nel rapporto tra mimesi e tecnica. Non so come dire… secondo me tu hai trovato una via di mezzo interessante, soprattutto grazie al periodo di cui parli, quando forse non era ancora così ipertrofico il discorso dei social, di whatsapp, eccetera…

Valentina: no!

Andrea: e c’è ancora un internet point nel racconto mi pare, addirittura… 

Valentina: sì!

Andrea: … appunto. Tu sei riuscita a rendere internet un fenomeno non tanto mimetico quanto diegetico, lo prendevi come spunto per poi costruirci sopra una narrazione. Queste scene brevi distruggono l’organicità della voce narrante, ma mi sembra di rivedere una sorta di onniscienza nella capacità di tenere insieme tutte queste voci. Non so se mi sono spiegato….

Valentina: parli delle scene dove lei va su internet e stalkera il fratello? O in generale i cambi di ritmo?

Andrea: no quelle in cui parla con qualcuno su internet. Per esempio c’è la scena in cui lei parla con il personaggio che non mi ricordo come si chiama…

Valentina: il maniaco!

Andrea: sì, esatto, il maniaco. Ci sono quattro pagine in cui c’è la descrizione della loro conversazione online, che però non appare forzata. Tu ti eri posta questo problema prima di scrivere, o semplicemente hai scritto?

Valentina: no, ho semplicemente scritto, quindi non è molto interessante la mia risposta. 

Andrea: comunque, secondo me hai attualizzato benissimo. Adesso che ci penso il rapporto di Gorane con i motori di ricerca mi ha ricordato il rapporto dei personaggi della tragedia greca con gli oracoli.

Valentina: non so se ti conviene scriverla questa cosa. Cioè grazie mille, ovviamente. Io ho vissuto tanto il cambiamento, perché fino ai 20 anni non sapevo nemmeno cosa fosse internet, mi prendevano tutti per il culo. Però avevo una capacità di concentrazione allucinante, che ho completamente perso. Forse un romanzo di questo tipo, fatto di cambi ritmici continui, è un risultato di questa radicale riorganizzazione che ha subìto il mio cervello. Salta di qua, salta di là, prende in mezzo un sacco di roba, forse è un po’ come seguire dei link che ti rimandano ad altre pagine e via dicendo, è un reticolo di quel tipo che però torna sempre al centro. Per fortuna ho tenuto bene a mente qual era la mia ricerca, la domanda iniziale, e non mi sono persa, ho rischiato parecchio però. È proprio un cambiamento che io ho registrato nel mio modo di stare sulla pagina, di perdere il focus e riprenderlo, poi perderlo di nuovo…

Il consulente psicologico, Filippo Ferraresi, lancia uno sguardo storto a qualcuno. Flavia pensa sia per lei. Andrea pensa sia per lui. Valentina pensa sia per lei. Solo Andrea ha ragione: gli ha rubato la domanda.

Filippo: cioè… in realtà un pochino hai già risposto alla mia domanda, quindi te ne faccio un’altra… prova a seguirmi in questo discorso assurdo. Tutti i personaggi tentano di autodefinirsi, parlano tantissimo di sé. Mi chiedevo… cosa ne pensi tu di questo fatto che i personaggi continuano a parlarsi addosso, continuano a darsi definizioni, cercano di dare dei paletti alla realtà attraverso dei nomi.
Suoneria di cellulare

Flavia: scusate! (Flavia Di Mauro picchia convulsamente qualcosa fuori dallo schermo.)

Valentina: Non mi piace molto psicologizzarli, ma forse quando provano a definirsi lo fanno perché la realtà gli sfugge e fa paura. Le loro identità sono fragili e quando sei fragile a volte l’unica risposta è la rigidità estrema.

Flavia Di Mauro, che si sente molto simile ai personaggi de La Mischia, essendo un’attivista sensibile alla questione basca, cerca di cambiare discorso. Va bene a tutti.

Flavia: cambiamo completamente argomento: ci sono moltissimi separatismi in Europa, e io ovviamente lo so perché sono un’attivista, una sensibile, insomma. Alcuni movimenti sono stati anche violenti come l’ETA, l’IRA, la KLA del Kosovo, o in Cecenia. Volevo sapere se tu questa storia hai scelto di ambientarla nei Paesi baschi perché sei affascinata dal luogo o se c’è qualche qualità specifica del separatismo basco che ti sembrava rendere meglio il tema che volevi trattare.

Valentina: sono molto affascinata dai Paesi Baschi, è da quando ho iniziato l’università che seguo corsi di lingua basca. C’è l’euskara, una lingua misteriosa (Andrea Migliorini sorride eroticamente soddisfatto) antichissima, isolata… Mi colpiva molto che ci fosse un separatismo legato alla difesa di una lingua così antica. Poi ho fatto una tesi di dottorato sulla guerra civile spagnola, quindi mi sentivo ben equipaggiata, la preparazione era necessaria visto che non ero “a casa mia” e rischiavo di commettere molte inesattezze storiche.

Valentina chiede ad Andrea se si sente bene. Flavia, che lo conosce, risponde che è tutto nella norma. Andrea per togliersi dall’imbarazzo improvvisa una domanda.

Andrea: dunque… ehm.. parliamo di Gorane. Ecco. Io avevo visto nella seconda parte de La Mischia un romanzo di formazione. E alla fine ci sono rimasto male…

Valentina: anch’io! (ride)

Andrea: anch’io me lo sono detto. A me Gorane sembrava un Don Chisciotte che ce la fa. La polizia cerca di usare il libro di Luque, ma fallisce. Mentre lei ci crede fino in fondo, non vuole usarlo per nessuno scopo se non per quello che c’è all’interno del libro. E quindi funziona. Sembra che così superi i suoi traumi. Addirittura riesce a sublimare la figura dell’uovo nell’arte…

Valentina: perfetto!

Andrea: …e poi però ritorna nel terrorismo. Ricapitolando, quella di Gorane (che ha 26 anni) è una formazione tardiva che collassa. C’è un ideale sotto per il quale noi, la nostra generazione, non riesce mai a compiersi?

Valentina: ehm… vediamo Filippo che è il consulente psicologico!

Filippo Ferraresi la incoraggia a non scaricare le proprie responsabilità sugli altri.

Valentina: oooook… grazie, Filippo. Forse in questo finale c’è una visione poco incline all’idea di crescita e progresso, ma c’è anche un motivo legato strettamente al libro, e cioè il semplice desiderio di Gorane di rivedere suo fratello. È un finale triste, però da un certo punto di vista è anche un lieto fine. Per questo è tragico, contiene una verità e il suo opposto nello stesso tempo, senza risoluzione, non c’è pace. Non ero convinta di mettere in mezzo il **** (non possiamo dirvi niente sul finale, sappiate soltanto che l’attivista Flavia Di Mauro l’aveva capito, il linguista Andrea Migliorini no, e Filippo Ferraresi si dava delle arie senza un motivo apparente) perché mi dava fastidio inserire l’attualità, usarla diciamo, un po’ come mi infastidivano le scene su Internet. Però era necessario, così ho provato almeno a essere delicata.

Filippo Ferraresi, preoccupato per l’autenticità dell’esperienza di lettura, ci obbliga a tagliare le domande che riguardano il ****, dunque si passa ai successivi temi in maniera sicura, senza spoiler.

Flavia: ogni volta che si parla di Euskadi a me sembra che si stia parlando di un luogo che non è nemmeno sul pianeta Terra, poi arriva il **** e tutta la storia entra nella contemporaneità. Un finale che Gorane ha presagito. E così la sua è una paura anche nostra. Di tutti. Perlomeno di tutti quelli un po’ ansiosi quando si blocca la metro. Insomma, ti leggo questa cosa come l’ho scritta: 

il timore di Gorane è nostro. La mia interpretazione è stata che anche l’Europa, come Gorane, si porta addosso un trauma, una colpa e una violenza ataviche che rischiano di annientarla. C’è una riflessione più ampia sulla violenza, sulla paura e sulla colpa, cui volevi accennare in questo finale? (Dal quaderno rosso di appunti di Flavia Di Mauro)

Valentina: in generale c’è questa idea della violenza che non si esaurisce, anche quando in apparenza è finita. La violenza dei più forti, di chi ha avuto la fortuna di nascere in Europa. Una volta buttata fuori, rimane in circolo, non si può sapere dove va, come si trasforma, chi tocca. Per esempio, una delle ossessioni dei gemelli è la sterilità: lei si incazza quando scopre che Jokin ha un figlio. Pensa “questa cosa doveva finire con noi, noi dovevamo essere gli ultimi della nostra famiglia. Perché ci hai moltiplicati?”. Gorane vorrebbe esaurirsi, togliersi di mezzo. Purificarsi, anche, il tema della purezza e della pelle è centrale per entrambi.

Flavia: io ho visto in tutti e due i gemelli un forte desiderio di espiazione. Mi chiedo perché Jokin, che passa la vita a nascondersi e non parla mai di sé, a un certo punto decida di raccontare la sua vita a uno scrittore, sapendo che riporterà tutto. Lì ho capito che aveva lo stesso desiderio di Gorane.

Valentina: sì, sì. Vogliono essere scoperti, trovati. Nessuno li ha mai cercati davvero, forse. Ma questo vale anche per il suo talento. Perché uno con un talento del genere fa tutte ‘ste stronzate? Perché appena riesce a mettersi in un gruppo che funziona deve ricominciare a farsi, ha questo desiderio di “auto-sabotaggio” (Valentina Maini interrompe la risposta per rivolgersi al consulente psicologico dicendo “fammi sapere, Filippo Ferraresi!”)? A Gorane succede qualcosa di simile. Credo che la loro parabola sia quella della deviazione…

Filippo Ferraresi si sente frustrato per essere sullo sfondo della conversazione, tutte le sue domande sono in parte anticipate dagli altri, quindi, quando tocca a lui, esordisce sempre così:

Filippo: un pochino hai già risposto. 

Filippo Ferraresi sospira, di nuovo.

Filippo: volevo parlare della tua irrequietezza stilistica, e del fatto che il romanzo non rimane mai fermo. Questa tendenza l’ho attribuita alla tua passione per i gialli (mi pare di averlo letto da qualche parte). Secondo me il tutto si traduce nell’assenza di scene lunghe.

Valentina: rispetto a quello che dicevamo sull’auto-sabotaggio, anche la struttura si autodistrugge: ogni volta che ti sembra di aver afferrato il testo, che la chiave giri, lui si inceppa e cade e ricomincia. Questo si riflette nella forma. È tutto sintomo di un rapporto problematico con la realtà, che sembra sempre cambiare in base a chi la guarda, che forse è troppo dura, ma che a volte appare anche insufficiente, non basta, bisogna prendersi la briga di rivoltarla, costringerla a parlare. 

I sensi di linguista di Andrea Migliorini si attivano, qualcosa gli vibra intorno all’ombelico. Presagisce un evento che confermerà la frase appena pronunciata dall’autrice Valentina Maini. Finge di non farci caso e chiede:

Andrea: io avevo una domanda legata a quella di prima, però potrebbe essere uno svarione assoluto. Quando ho cominciato a leggere tanto, leggevo Hesse, Kundera … insomma, quelle cose dove sottolinei le frasi a matita perché ti piacciono, che hanno un inizio e una fine, e, perché no, anche un po’ di retorica….

Valentina: Io mi vergogno tantissimo, ma Siddharta, a tredici anni mi ha fatto sentire cos’era la lettura, è stato lì che ho capito che potevo trovarci qualcosa di comparabile allo scrivere. Prima non lo sapevo, la lettura non era davvero un’esperienza per me, scrivere mi sembrava mille volte meglio.

Andrea: …ecco, a me è andata ancora peggio, pensa, io con Narciso e Boccadoro. Comunque, dicevo, all’epoca mi sarebbe piaciuto così tanto il tuo libro? Mi sembra che oggi molti autori scrivano per persone che vogliono scrivere o che abbiano a che fare con la scrittura. Quindi, in sintesi. Tre rami della domanda. 1) Pensi che ormai il pubblico della letteratura sia ridotto ai soli scrittori o aspiranti tali? 2) Quanto l’atto della scrittura di finzione è anche critica della letteratura? 3) Quando uno stile diventa un genere? Penso a Bolaño, no?, non ritieni che abbia creato una sorta di iper-romanzo?

(Valentina Maini trasale) 

Valentina: Ecco (sconsolata), questo è il mio incubo, scrivere per i famosi addetti ai lavori. Ma anche il contrario è un incubo, la popolarità. Anni fa non mi avrebbe infastidito, adesso sì, forse ci resto male perché non credo che questo libro sia un romanzo elitario, a differenza di altre cose che ho scritto, non credo sia quella la sua strada. Comunque è piaciuto anche alla tabaccaia sotto casa. 

Andrea: ma la mia era una domanda, non un’affermazione. Non ti affliggere.  Adesso dovremmo passare alla seconda parte, quella sul rapporto tra critica e scrittura, ma un pochino hai già risposto (Il consulente psicologico Filippo Ferraresi sorride sotto i baffi, ma poi sembra innervosirsi di nuovo: è stato derubato anche del linguaggio)

Valentina: sì, io alla fine, senza volerlo, sono finita in quella dinamica. Mi sarebbe piaciuto vedere come se la cavava il libro, nel mondo vero, invece è rimasto nella nicchia, credo. 

Andrea: per chiudere, quindi, resta da chiederti l’ultima cosa: pensi che questo stile di scritture sia già un genere in sé?

Valentina: sinceramente non lo so.

Andrea: cioè, non so come dire, pensi che i libri di Bolaño abbiano creato un genere, alla Bolaño, o no? O pensi che sia solo un modello? Perché mi sono detto: quando Leopardi scriveva le “Operette”, nessuno gli diceva “stai copiando Luciano di Samosata”. 

Valentina: Penso sia dovuto all’ansia classificatoria della nostra cultura, che è anche un’ansia di controllo. L’editoria ha l’ossessione dei riferimenti, di ricondurre la novità a qualcosa che già si conosce, non solo l’editoria, l’università, l’essere umano forse. Va bene trovare una famiglia e anche una profondità ai libri nuovi, vedere dove si radicano, chi sono i padri, vedere se ce l’hanno un passato o sono campati per aria e vuoti, ma spesso la ragione è unicamente commerciale, noiosa. Quindi…Oddio.

Valentina: oddio.

Filippo Ferraresi si sdoppia. Sentiamo un rumore, potrebbe essere un trillo di google, o lo spazio tempo che si curva.

Valentina: oddio.

Andrea: cosa?

Flavia: si è sdoppiato. Ti sei sdoppiato, Filippo.

Andrea: una parte di te sembra rimasta nella Loggia Nera. 

Filippo 1: non so che cosa stia succedendo, ragazzi.

Flavia: poi la parte bloccata ha un’espressione serissima.

Filippo 2: io non ho fatto niente.

Flavia: stavi pensando a qualcosa di molto intenso.

Filippo 1: va beh, accettateCI.

Filippo resta sdoppiato, ma ormai non ci facciamo più caso.

Valentina: …comunque, non so se ti ho risposto, Andrea.

Andrea: sì, mi hai risposto, il problema è che io ne parlerei fino a domattina di questa cosa, quindi adesso continuerò a parlare, però mi metto in muto (Andrea effettivamente continua a parlare e muove le mani lasciando intendere che sta discutendo in maniera forbita, ma noi non lo sentiamo perché, come aveva detto, si è messo in muto). 

Filippo: tu, Flavia, hai altro da dire?

Flavia: no, le cose che volevo chiedere te le ho chieste. 

Valentina: ci salutiamo?

Andrea toglie il muto, Valentina non sbuffa, Flavia si passa una mano fra i capelli, Filippo è immobile come il suo doppio, solo più assonnato. 

Andrea: ah, la forma. Dobbiamo spiegarti della forma.

Valentina: (spaventata) in che senso, LA FORMA?

Tutti i dipinti sono di Carol Rama.

  • abbiamo apportato una modifica alla descrizione sotto il titolo dell’intervista per evitare eventuali fraintendimenti (c’era un riferimento a una vicenda del libro) da parte dei lettori che ancora non hanno letto il romanzo.

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