
Alle 7:15 diverse decine di persone formano una discreta fila, e si direbbe che molte si conoscano tra loro. Sono quasi tutte donne. Quelle che stanno arrivando scambiano una battuta al volo senza neanche rallentare il passo, tirano dritto per raggiungere la fine della coda e conquistare la loro priorità. Alcune hanno sistemato il seggiolino da spiaggia lì in strada, a ridosso del muro, e attendono l’apertura in tutta comodità, assorte in conversazioni gioviali e frivole. Mi metto in fila anch’io. Sarà che la Croazia quest’anno è troppo affollata, oppure che, comunque, ho sempre pensato che agosto sia il mese più adatto da trascorrere in città, e anche che una prevista festa campestre è andata buca, alla fine mi sono deciso: passerò la mattina di ferragosto al Pedocin.
Lo stabilimento balneare comunale “Alla Lanterna” si chiama cosi per via della sua vicinanza con un vecchio faro, ma tutti i triestini sanno che quel posto, sul quale sono stati scritti libri e girati documentari, è El Pedocin, la piccola cozza. Sono le 7:30, orario di apertura, e la fila si anima, i seggiolini vengono richiusi alla svelta, borse, zaini e borsoni che erano posati per terra tornano sulle spalle e, dopo pochi minuti, si arriva davanti a una biglietteria automatica dove bisogna inserire la tariffa d’ingresso, un euro. Una tabella avvisa che “a inizio giornata la macchina non dà resto”. Ma a che ora termina l’inizio della giornata? Predisporre un piccolo fondo cassa mattutino dev’essere un’operazione che richiede uno sforzo sovrumano Trovo il mio euro in una tasca e lo infilo nella macchinetta, che mi ringrazia sputando fuori il biglietto. Entro nella sezione uomini. El Pedocin è una spiaggia divisa in due da un muro che separa donne e uomini, probabilmente l’unico stabilimento balneare occidentale con questa caratteristica. La separazione riguarda solo la terraferma. Il muro s’interrompe poco dopo la battigia, e la promiscuità è di nuovo garantita dall’acqua non proprio cristallina che arriva al massimo al torace. El Pedocin si trova al limite del Porto Nuovo di Trieste, praticamente a pochi minuti dal centro città. Dalla spiaggia di ciottoli si vede a nord l’altipiano carsico, mentre verso sud sud-ovest svettano i tetti e le antenne della città. Mentre stendo l’asciugamano e mi spoglio, percepisco alle mie spalle una presenza massiccia e silenziosa: una nave da crociera sta per attraccare alla vicina Stazione Marittima, ma pare per un momento indecisa se arenarsi al Pedocin.
“Le attrazioni sono le persone che lo popolano e quelle che ne permettono il funzionamento. Intorno a me si parlano molte lingue, alcune delle quali non sono capace di riconoscere.”
La spiaggia è ancora tutta in ombra. Il sole si sta alzando e solo poco dopo le otto comincerà a lanciare il suo primo raggio su un preciso punto tra i ciottoli, trovando ad aspettarlo uno degli habitué che ha, con sorprendente precisione, posizionato proprio lì una delle sedie di plastica a disposizione del pubblico. Come fosse illuminato da un faro di quelli con cui si puntano gli attori mentre fanno un monologo, l’uomo riceve la sua prima dose di ultravioletti concentrati sul viso mentre parla al telefono. Giurerei che stia impartendo istruzioni in merito alla velocità e ai gradi di inclinazione con cui i raggi devono cadere sulla spiaggia, ma probabilmente sono solo suggestionato da questa giornata di festa pagana. Un altro tizio ha l’aria di star ispezionando lo stabilimento. Procede lentamente lungo il bagnasciuga in ciabatte e mutandoni con lo sguardo sereno ma inquisitore. Se non lo avessi visto in fila, potrei credere sia un ispettore in incognito. Intanto il fermento aumenta, altri uomini solitari arrivano, ma fanno la loro comparsa anche giovani padri con bambini, e poi i veri e propri padroni incontrastati del Pedocin: i pensionati, che occupano militarmente la parte centrale del chiostro che costituisce gli spartani spogliatoi, solo delle panche sopra le quali ci sono dei ganci dove appendere gli abiti. Amplificati dalle pareti del portico, i vocioni degli anziani rimbombano pieni di entusiasmo. Sono felici come bambini per le ore che li attendono lì, a battere carte, in compagnia di buoni amici con cui condividere vino e cibo, a debita distanza dalle mogli che sono ancora più felici al di là del muro, alcune così tanto da mettersi in topless e finalmente liberarsi dallo scomodo supporto che opprime i seni. Un altoparlante zittisce tutta quella letizia. Con un accento triestino così marcato da sembrare un caratterista da commedia dialettale, un addetto avvisa che una certa signora con un cognome altrettanto tipico triestino è attesa all’ingresso. Questo posto è un parco dei divertimenti. Le attrazioni sono le persone che lo popolano e quelle che ne permettono il funzionamento. Intorno a me si parlano molte lingue, alcune delle quali non sono capace di riconoscere.
Ormai il sole è alto e inonda tutta la spiaggia, comincia a fare caldo. Vado in acqua. Non si può pretendere di meglio, sono acque portuali, opache, con una perenne sabbia in sospensione anche se il fondo è sassoso. Sarei portato a credere che siamo noi le uniche forme di vita disposte ad adattarci a questa fanghiglia, ma non faccio in tempo a pensarlo che un pesce mi guizza davanti. Incoraggiato, continuo a camminare, ma il livello dell’acqua resta invariato. Il bacino del Pedocin, delimitato da boe e galleggianti, è un grande catino in cui è difficile nuotare, ma dove ci si può abbandonare a un distensivo pediluvio. Ne approfitto per guardare la spiaggia delle donne, molto più affollata, più colorata, con lo specchio d’acqua antistante pieno dei loro corpi eretti come pali da ormeggio in una laguna. Ci sono anche alcune donne musulmane, che qui, solo qui, possono con sollievo fare un bagno senza subire sguardi di rimprovero per la loro casta tenuta balneare. Qui nessuna giudica. Dentro al Pedocin sono tutte sorelle.
Di nuovo l’altoparlante. “Da parte di mamma e papà, tanti auguri di buon compleanno alla cara Tiziana!”L’annunciatore è lo stesso di prima, l’accento anche più pesante, ma stavolta il tono è festoso, e interpreta alla perfezione la lieta ricorrenza. Torno a stendermi. Davanti a me si è messo un uomo che sta bevendosi una birretta in lattina e parla al telefono con gli auricolari. Stavolta la lingua la riconosco, è arabo. Poco dopo lo raggiungono una bambina e un bambino e mettono gli asciugamani lì vicino. Fanno la spola tra la madre, che si trova dall’altra parte, e il padre. I bambini possono muoversi liberamente, non sono sottoposti al rigoroso regime di separazione, che poi così rigoroso non è. Vedo infatti alcune rare donne qua e là nella sezione uomini. Ma apprendo che si tratta di persone con qualche invalidità e che possono usufruire di un più comodo accesso all’acqua grazie a una rampa praticabile anche in sedia a rotelle, oppure di accompagnatrici di disabili. È quasi mezzogiorno, comincio a prepararmi per andare via. Ancora dodici ore e Ferragosto sarà ancora una volta la stazione di scambio verso l’autunno. Quello di quest’anno non è il più bello che io abbia mai trascorso, ma uno dei più divertenti di sicuro.
