di Monica Brotini

Il 14 novembre 1997 moriva a Parigi Alba de Céspedes. Scrittrice e giornalista, Alba era nata a Roma l’11 marzo 1911 da Laura Bertini e Carlos Manuel de Céspedes, ministro plenipotenziario della Repubblica cubana. Il nonno, Carlos Manuel de Céspedes del Castillo, aveva dato inizio alla prima guerra cubana per l’indipendenza. I dati biografici possono già dirci qualcosa su questa intellettuale alla quale dobbiamo un contributo significato nella storia letteraria italiana. Alba ebbe una formazione europea in un tempo, quello fascista, che guardava con diffidenza alla cultura d’oltralpe. Fu educata sia in italiano che in francese, ma parlava anche l’inglese e lo spagnolo. Lo spagnolo era la lingua dei padri, Cuba il luogo delle memorie familiari che la scrittrice ricostruisce in un intreccio indissolubile con la storia dell’indipendenza dell’isola. “Cuba – scriveva Alba nei suoi appunti – ha una ‘geografia eroica’ che si è aggiunta a quella delle guerre di indipendenza. Giacché solo pochissimi luoghi dell’isola non sono stati liberati a prezzo di sangue e vi sono nomi di montagne di valli e di borghi – prima sconosciuti – che non possiamo non pronunziare senza commozione”.
Il “libro d’amore” per Cuba, “la patria, il Paese”, è “Con grande amore”, rimasto incompiuto. A esso Alba dedicò la parte finale della sua vita. Ma l’idea di un romanzo sulla storia di Cuba e della sua famiglia risaliva agli anni della malattia e della morte del padre, avvenuta nel 1939. Il lavoro di ricostruzione delle vicende familiari e personali appare estremamente minuzioso. La scrittrice setacciava tutte le fonti possibili, poi scriveva singoli pezzi, riunendoli insieme in un secondo momento. Ascoltando i racconti del padre, Alba sentiva di “appartenere a un popolo eroico del quale innumerevoli cittadini si erano battuti per la libertà”. La vocazione letteraria sorse in lei prestissimo, a nove anni. A quell’età è datata infatti la composizione della sua prima poesia, “La notte”: “S’agitava nella mia mente una massa confusa di parole, parole nuove delle quali il senso m’era pressoché sconosciuto, ma il suono mi conquistava; era una bella musica. Mi piaceva starmene chiusa nell’aria del mio silenzio; nella sospesa calma della stanza le parole sgorgavano facilmente, formavano una frase armoniosa, poi un’altra. […] In punta di piedi andai alla scrivania, presi la carta, la matita, poi m’accoccolai in un divanetto di seta celeste, sotto la finestra. […] E scrivevo intanto, spedita, quasi fossero gli spiriti a guidarmi la mano. Quando ebbi scritta l’ultima frase sul foglio, soddisfatta lo guardai; compresi, allora, dal modo nel quale le frasi erano disposte, che avevo scritto una poesia”.
“Bisogna viverla o scriverla la vita. Mi sembra che ormai per me la scelta sia inderogabile. Scriverla. Scriverla. […] Non so immaginare la mia vita senza la scrittura. Non c’è mai stata vita per me senza scrivere”.
Il primo romanzo di De Céspedes, “Nessuno torna indietro”, uscì per Mondadori nel 1938. In esso si narra la storia di otto giovani donne e del loro passaggio nella vita adulta. Alloggiate a Roma nel collegio religioso Grimaldi, le giovani sono quasi tutte studentesse. Le scelte compiute in quel periodo daranno una svolta decisiva alle loro vite:
“È come se fossimo su un ponte. Siamo già partite da una sponda e non siamo ancora giunte all’altra. Quella che abbiamo lasciato alle nostre spalle, nemmeno ci voltiamo a guardarla. Quella che ci attende è ancora avvolta nella nebbia. Non sappiamo che cosa scopriremo quando la nebbia si dissiperà. Qualcuna si sporge troppo per meglio vedere il fiume, cade e affoga. Qualcuna, stanca, si siede in terra e resta lì, sul ponte. Le altre, quale bene, quale male, passano all’altra riva”. Passeranno tutte il ponte, eccetto tre di loro, Augusta, Milly e Valentina che rimarranno sulla “soglia della vita”.
Il romanzo conobbe uno straordinario successo. Poi con la guerra, le violenze e le morti, la vita sembrò aver subìto una battuta d’arresto. Fu l’8 settembre 1943 a segnare uno spartiacque per tutti gli italiani, anche per De Céspedes. Lasciata Roma, Alba sarà la voce di Clorinda a Radio Bari nella trasmissione “L’Italia combatte”. Lo pseudonimo – adottato per motivi di sicurezza da tutti i redattori – richiama la coraggiosa guerriera della “Gerusalemme liberata”. Dalla radio, Alba invitava tutti alla resistenza. Il 10 dicembre 1943, alle ore ventitré, la sua voce arrivò per la prima volta nelle case degli italiani:
“È una donna che vi parla stasera […]. Una donna che ha lasciato la sua casa in due ore, si è cacciata in un treno all’alba, ha avuto giorni difficili fuggendo dai tedeschi di paese in paese, e poi ha deciso di guadare il Sangro e traversare le linee di fuoco per venire da questa parte. Ma stasera io non vi parlo in veste di giornalista e scrittrice. Stasera io voglio parlare da donna alle innumerevoli donne italiane che aspettano il ritorno dei loro uomini che sono quaggiù”.
De Céspedes era convinta che il rinnovamento dell’Italia dovesse partire dalle coscienze dei singoli. Solo attraverso la chiara consapevolezza del passato sarebbe stato possibile costruire una nuova società, realmente democratica. “Volevo dire – afferma il 10 maggio del ’44- che la civiltà alla quale noi, popolo italiano, aspiriamo, non è soltanto una civiltà di treni di alluminio o di libri o di statue. È l’intima civiltà di ogni individuo che si esprime col suo modo di vivere con il rispetto dei diritti e della vita altrui”. De Céspedes narrerà la sua esperienza resistenza sulla rivista Mercurio che progettò e diresse dal 1944 al 1948.
Mercurio, “mensile di politica, arte e scienze”, si inseriva nel clima di rinascita culturale che caratterizzò l’Italia e, in particolare, Roma nel dopoguerra. Sempre nel 1944 Maria Bellonci, l’ideatrice e fondatrice del Premio Strega, apriva il suo salotto letterario; ma dappertutto era un pullulare di quotidiani, riviste, settimanali, mensili: tutti accomunati, chi più chi meno, dalla voglia di ricostruire un nuovo tessuto sociale. In particolare, ci furono intellettuali, accanto alla de Céspedes (Paola Masino, Anna Garofalo, Palma Bucarelli, Sibilla Aleramo – per fare qualche nome) che non si stancarono di sottolineare il ruolo che la donna poteva e doveva avere nella ricostruzione civile e morale dell’Italia. È questo il motivo di fondo del grande romanzo di De Céspedes, “Dalla parte di lei” uscito, sempre per Mondadori, nel 1948.
“Dalla parte di lei “narra la storia di Alessandra che uccide il marito, Francesco, eroe della Resistenza e poi importante uomo politico del dopoguerra. Il romanzo è una memoria difensiva che Alessandra scrive dopo che ha sparato alla schiena di Francesco, al “muro di carne delle spalle del coniuge” mentre questi dorme, ignaro della violenza che ha inflitto alla giovane compagna. Francesco non ha maltrattato fisicamente la moglie ma non per questo la violenza che ha esercitato su di lei è stata meno terribile. Egli riteneva che Alessandra non potesse essere coinvolta nel processo di ricostruzione della società civile, era una donna e come tale da relegare tra le pareti domestiche o al limite in un lavoro subalterno, soggetta comunque al potere dell’uomo. Alessandra invece aveva partecipato alla Resistenza – contro la volontà del marito; questo le dava il diritto e anche il dovere di pretendere un ruolo propositivo e attivo, ma i suoi sogni – anche d’amore – si infrangono contro l’incomprensione sorda e ottusa di Francesco.
Alla voce della donna, De Céspedes presta la sua scrittura. Così è anche in “Quaderno proibito” (1952) in cui la protagonista Valeria registra su un diario – il quaderno proibito appunto- le vicende che le accadono. Ma la scrittura diaristica diventa anche il mezzo attraverso cui la donna riflette sul ruolo di madre che si è ritagliata negli anni e dal quale non può più uscire, pena il disconoscimento del senso di tutta una vita. Sarà invece la figlia Mirella a rompere gli schemi e a scegliere ciò che davvero vuole per sé. Di De Céspedes meritano infine un’attenta lettura anche il lungo racconto “Prima e dopo” (1955), Il rimorso (1963) e il romanzo sperimentale “Il buio della notte” (1973) che uscì prima in francese. In quest’ultimo lavoro, ambientato a Parigi, protagonista è la notte. Nel buio si animano e vivono identità diverse, abitate perlopiù dal disincanto, dalla solitudine e dalla irrequietezza. Le storie si sovrappongono e divergono: in comune hanno l’umanità dolente, la ricerca di un significato di senso dell’esistenza. Interessante, in questo testo, la varietà dei registri linguistici perfettamente aderenti alle individualità che vengono rappresentate. Oggi De Céspedes conosce finalmente una rivalutazione, anche grazie all’attento lavoro critico di alcune studiose, prima fra tutte Marina Zancan. Quest’anno Mondadori ha ripubblicato il romanzo “Dalla parte di lei”.
Per De Céspedes scrittura e vita coincidevano. Il 16 marzo 1940 Alba annotava nel suo diario: “Bisogna viverla o scriverla la vita. Mi sembra che ormai per me la scelta sia inderogabile. Scriverla. Scriverla”. E in un’intervista dei primi anni Novanta, ribadiva: “Non so immaginare la mia vita senza la scrittura. Non c’è mai stata vita per me senza scrivere”.