Letteratura Recensioni

Primo sangue di Amélie Nothomb vince lo Strega europeo

Amélie Nothomb ha vinto ex aequo lo Strega Europeo con "Primo sangue" (Voland). Rilanciamo la recensione dello scrittore Crocifisso Dentello apparsa sul Fatto all'uscita del romanzo.

di Crocifisso Dentello

Non c’è stagione editoriale senza una nuova commedia gotica di Amélie Nothomb. Da trent’anni esatti l’autrice belga timbra il cartellino in libreria con i suoi peculiari volumi sottili, perfetti per ingannare il tempo in un viaggio di sola andata. Anche Primo sangue, fresco di stampa per Voland, si snoda lungo un centinaio di pagine. In copertina c’è la stessa Nothomb, alla stregua di una dark lady in posa estatica. Un’esca forse indovinata per questa storia che, fedele a una scrittura piana, corre sul filo di un protratto spleen. L’io narrante si trova davanti a un plotone di esecuzione. Sia all’inizio del testo: “Rifiuto l’ingiustizia della mia morte, chiedo ancora un momento”, sia alla fine: “Sono vivo e lo resterò.” Tra questi due estremi a raccontarsi è un diplomatico che ripercorre 28 anni della propria biografia, dalla nascita in un milieu di aristocratici declassati a una terribile presa di ostaggi in Congo a metà degli anni 60. Non è un personaggio di fantasia ma il padre dell’autrice, scomparso nel marzo 2020. È dunque una storia famigliare autentica quella di Patrick Nothomb. L’infanzia è immortalata con toni da realismo magico (ricorda per sommi capi quella della stessa Amélie come l’ha tratteggiata in Sabotaggio d’amore).

“È stato un Nothomb a redigere la Costituzione del nostro paese.”

Accudito dai nonni materni (padre militare morto e madre anaffettiva), Patrick trascorre il Natale e le vacanze estive presso il ramo paterno. Il nonno Pierre, avvocato con titolo nobiliare e poeta dilettante, nasconde dietro le mura del castello di Pont d’Oye una realtà simile a una fiaba dei fratelli Grimm. Ha 13 figli, zii di Patrick, di cui cinque suoi coetanei. I più piccoli sono denutriti perché lungo la tavolata, a pranzo e a cena, vengono serviti per ultimi a fronte di vivande contese e di per sé scarse. L’indigenza è tale che si batte per il freddo durante i rigidi inverni delle Ardenne: “Sopravvivere all’infanzia restava un’esperienza darwiniana per i figli di Pierre Nothomb.” Patrick, illuminato dalle poesie di Rimbaud, cresce con il sogno di diventare un portiere e alla prese con una seccatura ricorrente: sviene alla vista del sangue. Si laurea in legge e supera il concorso in diplomazia. Frattanto sposa Danièle, una ragazza di bassa estrazione malvista dal nonno, che lo richiama alla sua reputazione blasonata: “È stato un Nothomb a redigere la Costituzione del nostro paese.”

Patrick ipnotizza il suo “pubblico” di carcerieri con una sorprendente abilità, al pari di Sheherazade, nel tessere storie: “Finché regnava la parola, potevo sperare di cavarmela.”

Ma a conferirgli lo status di eroe e dunque la dignità romanzesca è la sua professione di console presso la comunità belga di Stanleyville in Congo. Nel 1964 con 1500 compatrioti si trova al centro della più grande presa di ostaggi del XX secolo da parte dei ribelli locali. Grazie al suo coraggio riesce a preservare per quattro mesi la vita di uomini e donne fino alla loro liberazione da parte dei paracadutisti inviati dal governo di Bruxelles. Patrick ipnotizza il suo “pubblico” di carcerieri con una sorprendente abilità, al pari di Sheherazade, nel tessere storie: “Finché regnava la parola, potevo sperare di cavarmela.” Un talento affabulatorio capace di sedurre e di sospendere il corso del tempo. Proprio come accade, guarda caso, nella narrativa della figlia Amélie. Buon “primo sangue” non mente.


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