La paura di ciò che non conosce turba l’uomo fino a negarne l’esistenza e tutto quanto non si comprende è relegato all’irrealtà. Il distacco ci spaventa e quando la morte ci interessa da vicino non riusciamo neppure a nominarla. Dare forma al dolore diventa la sola via d’uscita per non esserne inghiottiti.
Nel tentativo di fare i conti con il timore e i dubbi che il trapasso pone, in questa raccolta poetica, Gabriele Galloni – che nel compiere la sua operazione letteraria riporta alla mente l’uso salvifico del pianto nelle civiltà mediterranee raccontate da De Martino – inventa un rito per svuotare l’evento luttuoso della drammaticità individuale e lo fa attraverso dei testi che sono un dialogo tra vivi e morti.
In essi, una linea di demarcazione sottile separa e allo stesso tempo unisce chi non c’è più e chi è rimasto. All’autore pare non importare il fatto che, come per Epicuro, quando verrà…
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