di Stefano Trucco

Quando dico che un mucchio di gente che si considera colta non è in grado di capire i media…
L’esempio perfetto è recente, cioè la copertina della nuova traduzione di 1984 di Orwell per Sellerio, dove l’orrore del totalitarismo Socing del superstato di Oceania è espresso da una pura e semplice televisione, anche un po’ vecchiotta. Per anni – specie quando Berlusconi era al massimo della sua potenza – ho letto e sentito dire che nella distopia di Orwell il regime dominava grazie alla televisione. Solo che in “1984” la televisione come la intendiamo noi non c’è. C’è uno strumento che si chiama così ma serve più a spiare nelle case che a trasmettere. C’è la radio. Soprattutto, nella famosa scena dei Due Minuti d’Odio, non c’è la televisione ma il cinema ed è al cinema che i prolet vengono indottrinati. E naturalmente c’è il giornale, il Times, organo principale del regime per cui lavora Winston Smith.
“Il fatto che i mass media realizzino contemporaneamente questi tre ambiti di programmi (notizie/reportage, pubblicità e intrattenimento) con dei modi di costruire la realtà molto differenti gli uni dagli altri, rende difficile riconoscere un effetto complessivo e ricondurlo al sistema dei mass media. La più importante caratteristica comune è forse che nel processo di elaborazione delle informazioni i mass media aprono un orizzonte di insicurezza autoprodotta che deve essere continuamente rifornito di ulteriori informazioni. I mass media innalzano l’irritabilità della società e quindi la sua capacità di elaborare informazioni. O più precisamente innalzano la complessità delle connessioni di senso in cui la società si espone all’irritazione tramite differenze autoprodotte.”
“La realtà dei mass media” di Niklas Luhmann
Ma la colpa è sempre della televisione. Leggi, per esempio Chomsky e i suoi imitatori italiani, e ti rendi conto che la loro immagine dei media non è altro che quella di Orwell applicata in modo del tutto retorico (a un certo punto si cita sempre Goebbels) a cui si attaccano aneddoti e esempi presi dalle polemiche giornalistiche recenti che dimostrerebbero l’esistenza di un ‘pensiero unico’ con cui il potere indottrina le masse o qualcosa del genere. Il fatto che l’informazione nei paesi più o meno democratici non funzioni così è in realtà piuttosto noto ma grazie alla pratica decisamente orwelliana del bispensiero si può allo stesso tempo credere che i media ci indottrinino e leggere un romanzo impeccabilmente rivoluzionario di Valerio Evangelisti pubblicato da Mondadori, cioè da Berlusconi, lo stesso Evangelisti che aveva scritto una prefazione a un libro di propaganda putiniana sull’Ucraina edito dalla Red Star Press senza che né lui né i suoi ammiratori ci trovassero nulla di strano.
Il sistema dei media, che ovviamente è in rapporti stretti sia con la politica che l’economia, ha funzioni molto varie e a tratti contraddittorie e programmi specifici e comunque gode di una sua autonomia operativa strutturale piuttosto complessa, tanto complessa da far sì che si trovi più semplice trattarlo come se fosse il Ministero della Verità. Tanto per fare un esempio di complessità: “Il fatto che i mass media realizzino contemporaneamente questi tre ambiti di programmi (notizie/reportage, pubblicità e intrattenimento) con dei modi di costruire la realtà molto differenti gli uni dagli altri, rende difficile riconoscere un effetto complessivo e ricondurlo al sistema dei mass media. La più importante caratteristica comune è forse che nel processo di elaborazione delle informazioni i mass media aprono un orizzonte di insicurezza autoprodotta che deve essere continuamente rifornito di ulteriori informazioni. I mass media innalzano l’irritabilità della società e quindi la sua capacità di elaborare informazioni. O più precisamente innalzano la complessità delle connessioni di senso in cui la società si espone all’irritazione tramite differenze autoprodotte” – well, you get the point.