Per raccontare Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust – ancora?, non bastano già le decine di libri scritti?, o articoli e monografie al seguito? – si potrebbe partire da una dichiarazione di poetica applicata dello stesso scrittore francese, quando riflette su alcune pericolose tendenze estetiche del suo tempo.
Esiste una pericolosa sopravvalutazione della critica ai danni della creazione: «I poeti, gli artisti, creano dei fantasmi che talvolta divengono immortali nella tradizione degli uomini. Il critico, come il filosofo, crea valori. L’opera d’arte non conclude. Là dove c’è conclusione c’è critica», scrive Proust. Nulla meglio di queste poche righe potrebbe dare l’idea di cosa sia quella che viene spesso accostata alla Divina Commedia di Dante, per aiutarci a raffigurare con gli occhi della mente – e le intermittenze del cuore – l’Eternità dell’attimo, dilatato sulla pagina senza che questa vada mai incontro a una vera conclusione.
Perché…
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