
È da pochi giorni in libreria Bim Bum Bam Ketamina (Il Saggiatore), romanzo d’esordio della scrittrice Claudia Grande, che mette in scena uno stuolo di personaggi tragicomici usando una scrittura che fa della trasgressione e dell’efficacia espressiva le proprie cifre distintive.
La scrittura vivace
Il romanzo racconta con lo sguardo di Roberto, l’Uomo della Crisi, everyman che va per i quaranta, un mondo affollato da una «barbara umanità» (p. 28), e lo fa in uno stile estremamente fluido e chiaro. La scrittura è di quelle che immergono il lettore nella storia e non gli fanno posare il libro nemmeno dopo cinquanta pagine, affidata a dialoghi realistici, intrisi di umorismo, e a una narrazione che dal riflessivo si sposta spesso sul frenetico, necessario corrispettivo di vicende in cui droga violenza pazzia rivestono un ruolo chiave. Le descrizioni scorrono piacevoli, puntellate di riferimenti pop e talvolta concluse da frasi sorprendenti per il loro espressionismo poetico, puntualmente riferite a quei «niente a due gambe» (p. 149) che sono le persone viste attraverso la lente dell’io narrante («Coriandoli costretti a danzare nella luce straniante del tramonto», p. 69; «Miserabili mucchi d’ossa coperti di ragnatele e polvere», p. 114; «Chicchi di vuoto, ammassi palpitanti di presenze mute», p. 149).
Un romanzo di racconti
Mettiamolo subito in chiaro: il romanzo di Grande ha molti pregi, ma un punto debole salta all’occhio quando si consideri il percorso e la presenza del protagonista lungo il filo delle pagine, dato che questi tende a scomparire e i collegamenti fra storie secondarie e cornice appaiono talora pretestuosi. È vero, Roberto è un Signor Nessuno, è un Uomo in Affitto che si presta proprio per questo a immergersi nelle vite degli altri, a dar loro voce, a mettersi in disparte per far agire sulla scena i mostri incontrati lungo la sua strada. In lui l’autrice ha inventato una sorta di Sherazade che racconta storie – drammi perlopiù – vissute o ascoltate. Ciò detto, se consideriamo singolarmente i capitoli che compongono il libro, ci troviamo di fronte ad alcuni dei racconti pulp italiani più divertenti disponibili sul mercato. I più apprezzabili si trovano nella prima parte del libro: quelli sul quiz televisivo e sull’influencer sono, se non migliori, allo stesso livello della maggior parte della letteratura cannibale pubblicata nel nostro paese, che l’autrice sembra peraltro aver tenuto molto presente nella scrittura della sua opera.
I modelli, il titolo, le epigrafi
Sì, perché il filone in cui si inserisce Bim Bum Bam Ketamina è molto chiaro. Oltre alla sensazione di déjà-vu che può trasmettere, almeno per il tono, rispetto a titoli come Superwoobinda o Ti prendo e ti porto via, esso si mette sulla scia, a volte citandone di passaggio i capolavori, di Burroughs, Burgess, Murakami (Ryū), Ellis, Welsh, Palahniuk, del realismo sporco, e più in generale di quella transgressive fiction nella quale, insieme a una rete di fitti rimandi alla cultura popolare, sangue sesso stupefacenti la fanno da padrone. Questo ci porta al titolo: da una parte abbiamo appunto la ketamina, a suggerirci che affrontare questo libro significa entrare in una dimensione altra, allucinata, folle (la droga strictu sensu è poco presente, in realtà), dall’altra un forte richiamo a «questa nostra, dannata estetica pop» (p. 160). È un invito ripreso in una delle due spiritose epigrafi, cioè quella che cita Simona Ventura («Crederci sempre, arrendersi mai»), la quale forma con Patrick Bateman («Devo restituire una videocassetta») un duo significativo, che dice molto su quanto la scrittura di Grande sia intrisa di riferimenti alla cultura pop e sia ammantata, soprattutto, di un’ironia che sfocia in una satira amara del mondo occidentale contemporaneo.
Società dello spettacolo, tra critica e fascino
Focalizziamoci su questo punto. Se in generale si percepisce, nel romanzo, una sorta di fascinazione rispetto a ciò che è patrimonio comune sul piano mediatico (alludo ai riferimenti giocosi ai Ghostbusters, a Boris, ai Furby, o all’aspirante suicida sanremese Pino Pagano), Grande, davvero sul pezzo, delinea un ritratto lucido della «scialba brodaglia di nonsenso» (p. 15) della società, in cui un posto centrale ha la TV, e ancora di più Internet («l’oracolo dei deficienti», p. 180). È un mondo malato, il nostro, in cui i quiz televisivi rivelano tutto il nulla di cui riempiamo le nostre giornate, Instagram ci ingiunge di metterci in mostra, si è disposti a compiere pazzie per qualche follower in più, l’impegno è utile unicamente per creare nuovi content, ciò che conta a essere belli, il senso di colpa per i mali del mondo deve per forza attanagliarci (e nel bene o nel male finisce per farlo), ogni giorno spunta fuori qualche nuovo food influencer, si viene martellati dall’idea che è necessario mangiare farina di cavallette, una schiavitù 2.0 è imposta da Signor Glovo e compagnia, tutti possono andare a letto con qualcuno tramite le app di incontri mentre l’amore latita, OnlyFans dimostra una volta di più come ci sia «gente per cui le fantasie degli altri diventano un lavoro ben pagato» (p. 168), e sembra d’obbligo convertirsi a quella «cagata simil-distopica» (p. 192) che è l’Intelligenza Artificiale. Ma la lista di criticità evidenziate di passaggio dalla scrittrice, o meglio dai suoi personaggi, potrebbe essere anche più lunga di questa.

La maschera di Bateman
Il dramma del protagonista, in tale quadro? Forse di non essere una vita da clickbait, per citare un eloquente capitolo del libro. È un inetto, incapace di distinguersi da quella stessa massa di certo affollata di suoi sosia. Il suo è un male di vivere, un’apatia la cui ragione più profonda è radicata nel mondo usa e getta in cui si è trovato a dover trascorrere la propria esistenza, dove vige un ossessivo feticismo per l’effimero. I rapporti? Precarietà affettiva: ciascuno sfrutta l’altro per i suoi scopi, stop. Le conversazioni? Vuoto pneumatico. Tutti sono tremendamente egocentrici e narcisisti. Vacui quanto lui, in fondo. E sarà proprio questa consapevolezza a sprofondarlo nella disfatta («Personaggio mai stato persona, che quando togli la maschera poi dietro che c’è?», p. 276). Risparmiando alcuni ravvicinamenti a livello più microtestuale, si può in questo senso accostare la figura di Roberto, che non è comunque l’unico psicolabile in questo libro, al protagonista di American Psycho. Due personaggi molto diversi, ovviamente. Eppure il disagio psichico e la sociopatia suggeriscono una certa prossimità. È innegabile, per lo meno, come entrambi siano funzionali a una riflessione di carattere sociale. Come Bateman era il prototipo dello yuppie edonista, superficiale e divoratore degli anni Ottanta, così Roberto racchiude in sé una certa idea di uomo medio italiano che in questa fase storica fatica a trovare un proprio posto nel mondo. In Bim Bum Bam Ketamina, insomma, l’invito è ad andare oltre la superficie, esattamente come Spring Breakers – cui rinvia la grafica della copertina – non era un’altra stupida commedia americana, e nemmeno solo un film drammatico, bensì un ritratto, quasi a tinte horror, di una generazione perduta.
L’autrice

Claudia Grande è nata a Chieti nel 1990, ha lavorato presso lo studio legale Gianni & Origoni, occupandosi principalmente di M&A, Restructuring, diritto societario, diritto commerciale, arbitrati. Ha superato l’Esame di Stato per l’abilitazione alla professione forense e dopo aver lasciato lo studio ha conseguito un master in Storytelling & Performing Arts.
Ha pubblicato racconti su riviste letterarie cartacee e digitali. Oggi lavora in Rai Pubblicità come copywriter e content creator. Il suo romanzo d’esordio, Bim Bum Bam Ketamina, è uscito per Il Saggiatore. il 3 febbraio 2023.
Contatti