La disgustosa narrazione da fotoromanzo della cronaca nera in Italia

di Claudia Grande

Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, l’ennesima vittima di femminicidio in Italia

Oggi La Stampa titola: “Uomini che uccidono le donne: al Paese serve un’opera di educazione profonda”. Ieri titolava: “Al Paese serve un’opera di educazione profonda: dobbiamo insegnare alle donne a salvarsi”. Correzione raffazzonata che non ha inciso sul contenuto dell’articolo: la narrazione di certi fatti di cronaca distorce la realtà per plagiare sottilmente il fruitore disattento. Iniziamo dal titolo e poi analizziamo il testo, di cui potete leggere un estratto in questo screen (è reperibile per intero online):

1. “Dobbiamo insegnare alle donne a salvarsi”: non voglio soffermarmi sul sessismo implicito in queste parole – su cui, giustamente, si sono già spese penne migliori della mia. Vorrei che ragionassimo insieme su un altro punto che, a mio avviso, merita particolare attenzione.

Sebbene questa frase sia stata tempestivamente espunta dal titolo – non per ravvedimento, ma per tamponare la shitsorm social, sia mai che i like alla pagina della testata online scemino per un inciampo dello stagista sottopagato di turno! – , il resto dell’articolo continua a battere sul tema “un assassino lo riconosci”. Credo che questa sia una narrazione paragonabile, per antichità e fantasia, a quella di Cappuccetto Rosso, quando c’insegnavano che è possibile smascherare il lupo travestito da nonna perché li vedi i baffi, il muso, i denti affilati sotto alla cuffietta. Qui sta l’errore: non c’è nessun lupo e nessun travestimento. Siamo, tutti e tutte, potenziali assassini.

Mi rendo conto che sia molto più consolante pensare “Io? Non potrei mai”, “Mio figlio? Lui no, l’ho cresciuto bene”; ma è, per l’appunto, più facile abbeverarsi alla dolce fonte delle favole che scontrarsi con la realtà, con la carne e con il sangue di cui siamo fatti. Non esiste il DNA dell’assassino, non esiste nessun “un uomo violento lo riconosci subito” – traballante volo pindarico di lombrosiana memoria. La cosa più terribile dell’assassino è che sia una persona comune, con una vita comune, un aspetto comune; il suo tratto più grottesco è un volto anonimo e gentile che somiglia tanto al nostro. Noi, tutti, coviamo rabbia, rancore, frustrazioni, sentimenti marci che diventano materia lavica; noi, tutti, siamo sempre, pericolosamente vicini a un punto di rottura che potrebbe trasformarci in picchiatori, manipolatori, persone abusanti, stupratori, ricattatori, stalker, assassini. Quando capiremo che è l’uomo che uccide, non un essere altro, alieno, a cui, in quanto normalissimi umani, crediamo scioccamente di non somigliare?

Ecco perché serve un’opera di rieducazione del Paese: non per insegnare alle donne a salvarsi, ma per insegnare a tutti, anche quelli che “non lo farebbero mai”, a non uccidere, a non picchiare, a non alzare la voce, a non abusare, a non manipolare. Ancora una volta: parlo da persona che ha affrontato (ed è ancora alle prese) con pesanti problemi di gestione della rabbia. Ho fatto cose brutte, cose di cui mi vergogno. Se fossi stata più alta e muscolosa, avrei mandato all’ospedale qualcuno. E se non mi fossi mai fatta aiutare? Se non avessi iniziato un percorso per capire da cosa origina quella rabbia, da dove viene quel bisogno di essere violenta, fare del male a chi più mi ama? Forse sarei diventata un’assassina. Io non lo escludo. Nessuno dovrebbe farlo. Tutti, sempre, siamo e saremo gli unici responsabili di noi stessi e delle nostre azioni.

2. La cronaca nera non deve diventare fotoromanzo. È disgustoso leggere penne di sedicenti professionisti dell’informazione che si cimentano nel tratteggiare descrizioni e scene degne dei peggiori volumetti rosa. “Giulia, incinta di sette mesi, quasi mamma, tra corredini da comprare e preparativi per l’ospedale”: dov’è l’informazione, qui? Cosa vuoi comunicarmi, caro il mio giornalista? Che Giulia era una brava mamma e per questo merita le nostre lacrime? Che se al posto di Giulia ci fosse stata una escort probabilmente l’articolo non lo avresti nemmeno scritto? Che noi, tutte, dobbiamo ambire a essere come Giulia – pure e innocenti, agnelli sacrificali, agnelli che però devono anche imparare a salvare il gozzo dalla lama che sta per vibrare il colpo? Cosa dobbiamo essere, per te, noi donne? Intonse, sante, vergini partorienti in stile Madonna Incoronata con Gesù Cristo in braccio, forti quanto basta per riconoscere un uomo violento e sottrarcene, ma non così tanto da rivendicare un posto nel mondo che sia diverso dagli anfratti zuccherosi in cui vuoi recluderci con le tue parole scadenti?

3. La retorica del tradimento, la retorica del povero Alessandro equilibrista tra due vite parallele, incapace di scegliere tra una donna e l’altra – magari perché (come scrisse Repubblica anni fa circa un altro caso di femminicidio) “le amava troppo”: per piacere, basta. Basta con i “giganti buoni”, i “mariti stressati”, i “fidanzati esasperati ma dal cuore grande”. Umiliare in questo modo le vittime, le loro famiglie, le persone con un briciolo di sale in zucca che leggendo i vostri articoli rabbrividiscono è un gesto di una bassezza tale che vi squalifica dalla professione che ambireste a esercitare. Non siete giornalisti, professionisti dell’informazione: siete, nel migliore dei casi, romanzieri falliti; nel peggiore, teste consapevolmente conniventi con un sistema sociale che piscia sulle vittime delle cui morti è corresponsabile.


Claudia Grande

Claudia Grande è nata a Chieti nel 1990, ha lavorato presso lo studio legale Gianni & Origoni, occupandosi principalmente di M&A, Restructuring, diritto societario, diritto commerciale, arbitrati. Ha superato l’Esame di Stato per l’abilitazione alla professione forense e dopo aver lasciato lo studio ha conseguito un master in Storytelling & Performing Arts.

Ha pubblicato racconti su riviste letterarie cartacee e digitali. Oggi lavora in Rai Pubblicità come copywriter e content creator. Il suo romanzo d’esordio, Bim Bum Bam Ketamina, è uscito per Il Saggiatore. il 3 febbraio 2023.


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