di Andrea Porcelluzzi
Al British Museum è custodito un minuscolo taccuino, poco meno di un centinaio di fogli scritti un po’ a matita, un po’ a inchiostro. Sono gli appunti di Samuel Taylor Coleridge tra il 1795 e il 1798, una collezione singolare di “pensieri improvvisi casuali e disgiunti, e fantasie che balzano rapide sulla superficie del flusso di coscienza, con la stessa felice incoerenza degli insetti d’acqua”. Così li descrive il professor John Livingston Lowes in The Road to Xanadu: A Study in the Ways of the Imagination (Oxford press, 1927), uno di quei libri affascinanti che non finirai mai.
Setacciando il pulviscolo di parole depositato dal movimento del pensiero su quel taccuino, Lowes ha cercato in testi classici, diari di viaggio, lettere, glosse, note a margine e a piè di pagina, le immagini e le citazioni che, depositate nel “pozzo profondo” dell’inconscio di Coleridge, sarebbero…