di Mariangela Galatea Vaglio
Fra i misteri italiani, la punteggiatura se la gioca alla pari con i grandi enigmi della Storia repubblicana, e qualche volta li batte. Per la maggioranza delle persone risulta più semplice cercare di risolvere il problema degli intrecci Stato-Mafia che capire dove diavolo vada messa la virgola in una frase. I più optano per una soluzione casuale, cioè seminano i segni di punteggiatura come petali di rose: dove cascano, cascano e amen. In realtà la punteggiatura è in parte così difficile da capire perché entro certi limiti è soggettiva. Il suo compito è infatti rendere il flusso dei pensieri dell’autore e spiegare a chi li vede scritti con che ritmo vadano letti. Siccome il ritmo che voglio dare alle mie frasi è personale, anche la punteggiatura in parte lo è.
Alcune regole però ci sono, e vanno il più possibile rispettate. La prima è che la punteggiatura ci vuole. I flussi di coscienza che si spandono per pagine e pagine è meglio lasciarli a Joyce, o limitarli alle pagine di narrativa, e anche lì vanno usati con maestria e moderazione. Se non siete Joyce e non state scrivendo l’Ulisse, ma una semplice lettera di reclamo al Sindaco perché vi spostino da davanti casa un cassonetto della spazzatura, per piacere, usate i punti e le virgole. Lo scrivente vi sarà grato e magari sposterà il cassonetto davvero.
La virgola serve ad indicare che leggendo si deve fare una piccola pausa fra un pezzo della frase e l’altro. Dice al lettore dove prendere fiato, quindi ogni tanto mettetene una, se non volete sulla coscienza un lettore morto di apnea. […]