da L’amaca di Michele Serra
Quali siano la causa e la dinamica, sparare a un ladro è sempre una dolorosa, tremenda capitolazione. Non una brillante impresa sportiva, come parrebbe leggendo quotidiani che definire “di destra” è improprio. Più appropriato definirli “di sotto”. Per non parlare delle prevedibili ovazioni alla giustizia sommaria che si leggono online, al cui confronto il pare diretto da Bertrand Russell.
Si dovrebbe ammutolire o parlare a bassa voce, di fronte a un morto, e invece si strilla; e per evitare il rischio di riflettere si calca la mano, si deride, si scalcia. Il povero ladro sparato e il povero sparatore, entrambi privati di ogni gravità umana, diventano solo fantocci da inalberare sulla propria picca. E il caso del Lodigiano diventa tal quale il rigore di Juve- Milan: un accurato studio comparato sulle chat calcistiche e socio-politiche di questo Paese dimostrerebbe una impressionante identità linguistica, di modi, di toni, spesso addirittura di terminologia, una specie di “devi morire” collettivo, l’odio curvaiolo come metodo costante, come sola vera cultura egemone. Nessuno, mai, disposto a imparare qualcosa da qualcuno. Se la impressionante perdita di misura della chiacchiera pubblica italiana fosse solo questione di stile, pazienza. Corrisponde, invece, a una perdita secca di umanità.