di Umberto Eco
Sicuramente era invidioso della tua Bmw, per questo ti ha fatto la contravvenzione. Anche se avevi lasciato l’auto in terza fila e bloccavi il traffico. Questo è il ribaltamento a cui assistiamo in Italia. Mica da oggi: da vent’anni.
Qualcosa del genere lo avevo scritto in una Bustina del 1995, ma non è colpa mia se a distanza di diciotto anni le cose vanno nello stesso modo, almeno in questo paese. D’altra parte in un’altra Bustina avevo scritto di quando “Repubblica”, per festeggiare il suo ventennale, aveva inserito nel numero di vent’anni dopo la copia anastatica del numero di vent’anni prima. Io avevo scambiato distrattamente il secondo per il primo, l’avevo letto con grande interesse e solo alla fine, vedendo che si davano solo i programmi di due canali televisivi, mi ero insospettito. Ma per il resto le notizie di vent’anni prima erano le stesse che mi sarei aspettato vent’anni dopo, e non per colpa di “Repubblica” ma dell’Italia.
Così nel 1995 mi lamentavo di un curioso andazzo di alcuni giornali che parteggiavano per alcuni illustri accusati ma che, invece di sforzarsi di dimostrarne l’innocenza, pubblicavano articoli ambigui e allusivi, quando non deliberatamente accusatori, intesi a delegittimare i giudici.
Ora, si noti, dimostrare che in un processo l’accusa è prevenuta o sleale, in sé sarebbe una bella dimostrazione di democrazia, e fosse stato possibile fare così in tanti processi messi in scena da dittature di vario colore. Ma questo si deve fare in situazioni eccezionali. Una società in cui, sempre e a priori, non solo l’accusa, ma anche il collegio giudicante siano sistematicamente delegittimati, è una società in cui qualcosa non funziona. O non funziona la giustizia o non funzionano i collegi di difesa.
Eppure questo è ciò a cui stiamo assistendo da qualche tempo. La prima mossa dell’inquisito non è di provare che le prove di accusa sono inconsistenti, ma di mostrare all’opinione pubblica che l’accusa non è immune da sos[…]