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Una questione di qualità

Repost da Redazione (articolo di Francesco Forlani).

vanity_self-publishing

Appunti su self-publishing e pseudoeditoria. Gli appunti che seguono vogliono essere rappresentativi di un modo di procedere al quale Generazione TQ intende quanto più possibile attenersi. Constatata la relazione che connette tra loro fenomeni anche all’apparenza diversi e irrelati, pensiamo sia indispensabile che una riflessione prenda sempre le mosse dalla consapevolezza di questa reciproca interdipendenza. Per questa ragione, nel riflettere su qualcosa come il self-publishing e, attraverso questo, su quelle che proponiamo di chiamare pseudoeditorie, non vogliamo limitare il nostro intervento al contesto letterario ed editoriale; il fenomeno in questione non si articola soltanto o soprattutto nel recinto più o meno ampio di un settore ma lo trascende proponendosi semmai al contempo come conseguenza e come premessa, vale a dire come effetto di un mutamento e come concausa di un’ulteriore metamorfosi. Sforzarsi di non perdere di vista le implicazioni e le conseguenze di ogni fenomeno in teoria circoscritto, pretendere di non ignorare l’idea di mondo che da ogni manifestazione discende, ci sembra dunque strutturale a ogni analisi che voglia considerarsi complessa.

Una premessa: la locuzione self-publishing di per sé è neutrale. Il self-publishing altro non è, o almeno dovrebbe essere, che autoproduzione, premessa di una diffusione dal basso e con i propri mezzi, in autonomia e indipendenza. Oggetto di questi nostri appunti invece è la dimensione etica, economica e culturale di quella che chiameremo “pseudoeditoria”. Per pseudoeditoria intendiamo quell’attività di self-publishing che maschera l’autoproduzione, offrendo servizi di stampa, promozione, distribuzione e a volte addirittura di community, a pagamento. La pseudoeditoria può essere divisa in due grandi filoni: la vanity press, dove all’autore viene richiesto un contributo per la pubblicazione, sotto forma di denaro o acquisto di copie, e il print on demand, dove vengono stampate solo le copie via via ordinate, ma l’autore paga per i servizi aggiuntivi, oltre che per le copie che vuole per sé. Lo stesso oggetto d’impresa delle entità pseudoeditoriali appare immediatamente contraddittorio: se il lavoro dell’editore consiste nell’acquisire dall’autore, contro il pagamento di un compenso, il diritto di trasformare la sua opera in un libro da vendere al lettore, il lavoro dello pseudoeditore consiste invece nell’offrire all’autore, contro il pagamento di un compenso, la possibilità di sottrarsi al criterio di scelta, nell’illusione di poter raggiungere direttamente il lettore. Poiché peraltro il costo dei servizi in questione è relativamente elevato, e in ogni caso supera il costo industriale della realizzazione del medesimo libro da parte di un editore, si innesca un meccanismo di selezione censuaria: non più (non mai) basata sul valore dell’opera, bensì sulla mera disponibilità finanziaria dell’autore-cliente. Se l’opera di selezione svolta dall’editore richiede una quantità di “no” pronunciati drasticamente superiore a quella dei “sì”, nel caso dello pseudoeditore siamo invece di fronte a un soggetto che, a pagamento, dice sempre di sì.
A partire da queste premesse, portiamo a esempio due casi diversi ma sintomatici di uno scenario culturale in complessivo mutamento, ovvero Albatros/IlFilo, una delle principali vanity press, e ilmiolibro.it, leader del print on demand in Italia.

Nel primo caso ci riferiamo a un episodio in particolare, ovvero all’incontro, disponibile su YouTube, organizzato nel maggio del 2010 all’interno del Salone del Libro di Torino, al quale partecipano Andrea Malabaila di Las Vegas Edizioni, Linda Rando di Writer’s Dream e Giorgia Grasso, direttrice editoriale di Albatros/IlFilo. Il tema discusso è per l’appunto quello dell’editoria a pagamento. Malabaila e Rando affrontan[…]

via una questione di qualità – Nazione Indiana

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