da redazione

C’è un aneddoto molto bello sulla biblioteca del carcere di Ventotene nata durante il ventennio fascista; la conosciamo bene perché a Trieste è nota più che da altre parti, proprio perché fu il triestino Mario Maovaz (nato nel 1880 a Spalato da madre croata), condannato al confino dal regime, a portare tra le sue mura i primi libri e a creare così una rete segreta per farne arrivare altri. Al tempo, nonostante i controlli della polizia, la biblioteca, che vanta una collezione di ben tremila volumi, viene «arricchita da nuovi acquisti, quasi quattrocento volumi all’anno, anche di autori classici del marxismo e dell’anarchismo, proibitissimi altrove, e del pensiero liberale». Senza contare altri libri super-proibiti nascosti nelle nicchie scavate dietro gli scaffali e camuffati da innocui romanzi. La figura di Maovaz è citata sia nell’ultimo libro pubblicato dal collettivo Wu Ming che nel precedente “Il bibliotecario di Ventotene” di Roberto Spazzali, che ricostruisce la biografia dell’antifascista fucilato a Trieste nel ’45 a pochi giorni dalla Liberazione.
«La guerra non la pagherà solo il regime: la pagherà l’Italia, e noi erediteremo le macerie. Però noi vediamo l’occasione di ricostruire! Invece là, – puntò il bastone in direzione del continente, la maggior parte della gente ancora sonnecchia, intorpidita dal fascismo. Qui a Ventotene vediamo il futuro, mentre nel resto d’Italia non ne hanno la minima idea! E allora chi sono gli isolati? Chi sono i veri prigionieri del loro tempo?» Isola di Ventotene, colonia di confino degli antifascisti, 1939. Erminio è un giovane socialista, ex studente di Lettere a Bologna. Voleva fare la tesi sui mari d’Italia nei miti greci e adesso, ironia della sorte, è segregato su uno scoglio nel Tirreno, di fronte alla dimora della maga Circe, dove rischia di impazzire. Per non cedere, Erminio guarda all’esempio di un compagno più anziano, un uomo carismatico e tenace, da dieci anni prigioniero del regime. Si chiama Sandro Pertini. Una mattina d’autunno, dal piroscafo Regina Elena sbarca in catene Giacomo, un nuovo confinato. È un fisico romano e ha un segreto. Anzi, più di uno. Mentre l’Italia entra in guerra e la guerra travolge l’Italia, le stranezze di Giacomo e i misteri sul suo conto influenzano Erminio, innescando una reazione a catena e trasformando l’isola in un crocevia di epoche e mondi. Perché a Ventotene ci sono anarchici, utopisti, futuri partigiani, costituenti, pionieri dell’Europa unita… Ma c’è chi sogna ancor più in grande di loro.
“La macchina del vento” – Wu Ming 1 (Einaudi, 2019)
“Tutto torna, a Ventotene”, di Giuseppe Civati (reblog).

Un’isola dove gli imperatori confinavano figlie e mogli e donne. Lo fece Augusto, lo fece Tiberio, lo fece Nerone. Un’isola di passaggio dove a un certo punto si collocarono i cistercensi (Rumiz secondo me non lo sapeva, altrimenti).
Un’isola carceraria per via dell’isolotto satellite di Santo Stefano, un carcere circolare, un teatro all’incontrario: un panottico da manuale, chiuso solo nel 1965, che ho potuto visitare con Antonio Romano, direttore della Riserva, che non finirò mai di ringraziare. Nella colonia penale fu recluso il regicida Bresci (che sparò nella mia città e a Santo Stefano fu suicidato) e un uomo che sarebbe diventato Presidente della Repubblica italiana (che a Ventotene era a capo, tra l’altro, della mensa socialista). Un’isola confino, confine tra dittatura e repubblica finalmente democratica. Ecco cos’è Ventotene.
L’isola in cui il regime fece la follia di mettere, in pochi padiglioni, le migliori menti dell’opposizione. Tutte insieme. Che forse farebbe bene anche oggi, come esperienza, all’opposizione. Non il confino, eh, ma stare insieme su un’isola a ragionare. A immaginare il futuro. Non a parlare di alleanze, liste, accrocchi. Con un cartello all’ingresso: astenersi perditempo, che il tempo è poco e lo avete già sprecato quasi tutto.

Wu Ming 1 lo dice chiaramente: «Noi a Ventotene vediamo il futuro, mentre nel resto d’Italia non ne hanno una minima idea». Così dice un isolato, che però è libero, mentre a essere isolata è l’Italia». È il profilo dell’Italia svanisce, mentre il traghetto si allontana dal molo di Formia. E allora, dal carcere e dal confino, da Ventotene e Santo Stefano, risuonano quei versi: là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva. Dove c’erano le celle claustrofobiche del reclusorio e il filo spinato e i segni per terra per delimitare il percorso dei confinati (confini pure quelli) è cresciuta la squadra dei Costituenti, allenata dai vari leader, orgogliosissimi della propria prospettiva, che allora si conobbero e crebbero insieme.
È nato il Manifesto di Spinelli e Rossi, con Colorni che non sarebbe sopravvissuto alla guerra, per pochi giorni, per mano della banda Koch. Il fascismo fece le squadre e fece un errore clamoroso. Perché li mise tutti insieme, per anni, convinto forse di essere eterno. Ironia della sorte a un certo punto, dopo il 25 luglio, rischiò di finire al confino di Ventotene pure Mussolini. All’ultimo lo dirottarono su Ponza. Ventotene divenne il fulcro, quindi.
Isolatissima, una piccola Sant’Elena nel Tirreno, in quel mare che l’Europa ha dimenticato, a cui volge le spalle. Eppure le sue radici, non solo quelle politiche e istituzionali, sono anche – se non soprattutto – qui. Colpa della potenza e degli “equilibri” dell’Europa del Nord ma colpa soprattutto nostra, che abbiamo smesso di crederci, che la guardiamo da fuori, che la interpelliamo solo per chiedere sconti, con mosse tattiche che si rovesciano in pochi giorni, con sparate che ci tornano indietro al doppio della velocità.
Nel romanzo si dice che azionarono la macchina del tempo (con il vento, ovvio protagonista a Ventotene), io penso che semplicemente progettavano. Immaginav[…]