di Terry Passanisi

Il 2 giugno del 1989 usciva nei cinema di tutto il mondo “L’attimo fuggente”. Trent’anni fa. Tra queste pagine citiamo spesso, da vari punti di vista, la splendida sceneggiatura di quello che fin da subito si rivelò uno dei più grandi capolavori della settima arte. Sarà capitato a tutti di dire almeno una volta nella vita, oppure di sentir dire da un amico, carpe diem o cogli l’attimo.
Cogli l’attimo. Già; più o meno; ché a voler essere pignoli la traduzione di ‘carpe diem’ è sempre stata mal intesa: caso più unico che raro, l’adattamento rende più chiarezza nell’inglese ‘seize the day’. Si sa, i doppiaggi hanno bisogno di spazio e tempo, appunto, adatti. Non tanto quindi ‘l’occasione fa l’uomo audace, ladro’, sia quel che sia a tutti i costi, no, quanto ‘rendete le vostre vite straordinarie, non sprecate neanche un istante dei vostri giorni’, nell’identica intenzione del poeta Orazio. Questo è il regalo che trent’anni fa il regista Peter Weir e il cast de “L’attimo fuggente” ci fecero, mettendo assieme le locuzioni latine delle Odi, la poesia di Walt Whitman (O capitano!), i lasciti filosofici di Thoreau (Andai nei boschi, perché volevo vivere con saggezza…) e il poema di Gwen Harwood: “Le parole non possono esprimere, come fa la musica, l’indicibile grazia che senza poter essere definita salta come luce da mente a mente.”
Ricordo che uno dei miei più grandi amici (di quelli che si conoscono a undici anni e non si smettono più di frequentare per tutta la vita, pur anche solo nel ricordo), prima di andare a una festa, si dipinse un fulmine sul petto con il rossetto sottratto alla ragazza di cui era cotto, tale e quale a Nuwanda; la cosa non riscosse in me troppa approvazione (figuriamoci nella ragazza), ma si meritò la mia stima per il coraggio e l’ispirazione. Trent’anni fa, per qualunque adolescente imberbe che avesse visto il film, la vita non sarebbe stata più la stessa, ma sarebbe stata audace e straordinaria, indagata da infinite angolazioni, succhiata fino al midollo. Non avremmo più soltanto ‘letto poesie’, ne avremmo assaporata sulla lingua la dolcezza.