Arte Cultura

Il mio ricordo di Gianfranco Pagliaro

L’11 settembre Gianfranco Pagliaro avrebbe compiuto sessant’anni e i suoi amici triestini vogliono ricordarlo riaccendendo idealmente una delle sue creazioni più ispirate, quella “casina di luce”, da cui si sprigionava tutto il suo amore per il cinema, che sarebbe diventata il logo del Teatro Miela.

di Tiziana Finzi

Gianfranco Pagliaro nel 1981

“Nel lavoro di Gianfranco Pagliaro – sia esso disegno affidato all’album personale, manifesto, copertina di dischi, cartolina realizzata al computer – è stampata la cultura (e il desiderio) di un’epoca. Un momento particolare localizzabile agli inizi degli anni ’80, e prolungatosi nel corso del decennio, che ha visto insorgere tra i ranghi giovanili una volontà trasgressiva di espressione. Forse più che di trasgressione si trattava di una voglia irrefrenabile di diversificazione, di affermazione egocentrica e narcisistica di energie ribollenti, attraverso i canali della MODA, della MUSICA, di un immaginario spesso legato all’una e all’altra, secondo connotazioni che tra FANZINE e FUMETTO, tra copy-art e immagini di sintesi ha trovato modalità linguistiche chiaramente riconoscibili.”

Questo è un testo scritto da Maria Campitelli nel 1993, in occasione della Mostra Gianfranco Pagliaro. Sono parole NON solo attualissime ma sono la base, almeno per me, della cultura contemporanea intesa come intersecarsi di discipline artistiche, di cosiddetta multimedialità o polivalenza artistica. Alle mie spalle (durante la presentazione della mostra ndr) potete vedere il lavoro artistico di Gianfranco, e qui accanto una selezione di alcuni film da lui amati, che avevamo visto insieme, di cui tanto avevamo parlato; tra loro alcuni titoli usciti l’anno della sua morte, film che so gli sarebbero piaciuti molto, film che saremmo andati a vedere assieme, ne avremmo discusso, parlato, sorriso e sarebbero stati per lui fonte di ispirazione. Ne sono sicura. Era così che eravamo soliti trascorrere il nostro tempo, in quegli anni 80, studiando io, lavorando e studiando lui, comprando le nostre riviste preferite, VOGUE, VANITY, INTERVIEW, I-D, THE FACE, ma anche ROLLING STONE. Sfogliando queste riviste conoscevamo i fotografi che più avrebbero segnato quest’epoca: Jean Baptiste Mondino e Jean Paul Goude. Jean Baptiste Mondino non era solo fotografo di moda per Vogue e The Face era anche regista di videoclip degli artisti che seguivamo di più: MADONNA, BOWIE, BJORK, PRINCE, BRIAN FERRY, BOY GEORGE, il suo stile inconfondibile, dai connotati fortemente glamour, è ancora oggi riconoscibile per l’attento uso del colori pastello, le atmosfere delicate e le luci morbide, come negli spot di Gautier.

Louise Brooks

Invece Jean Paul Goude era fotografo di moda per I-D regista illustratore, ex direttore di ESQUIRE, e a noi piaceva per i video curiosi e bellissimi che realizzava per Grace Jones; e le copertine dei dischi con foto e lavori di grafica eccezionali. Trascorrevamo il nostro tempo video-registrando per ore MTV, settimanalmente Twin Peaks, e tutto il cinema che in quegli anni potevamo trovare in programmazione sui diversi canali televisivi: non so davvero come riuscivamo ad essere informati su tutto ciò che ci piaceva. Ci piacevano tantissime cose; Gianfri adorava il cinema, era attratto dal cinema muto e dalle bellezze art déco delle attrici di quel tempo, una fisionomia femminile da lui molto amata, lo stile raffinato di Louise Brooks, e delle altre attrici dei film drammatico/romantici dell’epoca del muto. Ma le scene e i costumi del primo film di fantascienza “Metropolis” ebbero un forte impatto creativo; mi ricordo che con Gianfranco nel commentare il film non solo parlavamo del futurismo, ma ci eravamo resi conto che quel film aveva ispirato (pur essendo del 1927) BLADE RUNNER e STAR WARS.

Gianfri era sedotto dal cinema, da ogni singolo dettaglio; dalla regia, dalla scenografia, dalla bellezza e dalla bravura degli attori certo, ma soprattutto dagli abiti, dai costumi, dall’elegante atmosfera che gli abiti creavano. Gli abiti e le acconciature di un’epoca, venivano riviste e inventate in un altra situazione, per un’altra dimensione, e Gianfri si divertiva nel disegnare, dipingere, abbozzare la bellezza che ci riporta a Grace Jones, a Josephine Baker, a Lauren Bacall, alla mitica Audrey di Colazione da Tiffany, ma anche a Marlene e a Greta le dive per eccellenza. Anche Gilda, Rita Hayworth, era una delle sue dive preferite, che con eleganza, garbo e fantasia lui fasciava in abiti di Jean Paul Gautier, Thierry Mugler, Azzeline ALAIA; ma solo alcune le avrebbe vestite con gli abiti azzardati di Comme des Garçon: Malene Dietrich e Lauren Bacall per esempio che insieme a COCO Chanel erano le prime donne ad aver indossato completi maschili, e avrebbero quindi potuto indossare non solo Comme des Garçons per una questione di fisico ma anche Yoshij Yamamoto o Issey Miyake. Questi suoi pensieri si trasformavano in appunti, in schizzi in disegni fino a divenire dei grafici, dei READY-MADE di notevole bellezza. Usava la matita nera grassa, gli acquarelli, i pennarelli, qualsiasi strumento servisse a disegnare, ma dava molta importanza alla carta. Non solo Dive e Moda erano gli argomenti trattatati nel suo lavoro di grafico ed artista, ma anche il DESIGN, l’ARCHITETTURA. Gianfri aveva molto buon gusto ed era appassionato da un oggetto liberty dei primi del 900 come dalle caffettiere di Aldo Rossi prodotte per Alessi.

Erano gli anni in cui nel design lo stile POST-MODERNO del gruppo Memphis imperava su tutto ciò che aveva che fare con l’estetica e a lui piacevano le esuberanze di forme e colori che poi riportava nelle sue creazioni di fashion come le T-Shirt e le cravatte prodotte dal suo studio ELETTROCROMA. All’epoca molti architetti italiani si dedicavano anche al design e alla produzione di oggetti di uso quotidiano, del gruppo MEMPHIS facevano parte i grandi Alessandro Mendini, Ettore Sottsass e Aldo Rossi, e anche qui con irriverente ma giocosa reinterpretazione interveniva Gianfry nel riprodurre tali oggetti in collage grafici e fotografici per la collezione di cartoline.

Due altri personaggi del settore Architettura e Design che Gianfranco considerava mitici per la loro creatività e l’essere dei grandi visionari erano: l’architetto catalano Ricardo Bofill e il designer francese Philippe Starck. Ricardo Bofill era stato nei primi anni ’80 l’architetto del complesso edilizio L’ESPACES D’AMBRAXAS, un’enorme struttura abitativa a 40 minuti da Parigi estremamente scenografica, ma anche buia, cupa, tortuosa che si rifaceva alle scenografie di METROPOLIS e dove nel 1984 Terry Gilliam girò BRAZIL, considerato da tutti noi un capolavoro; il film fu un occasione anche per andare vedere il quartiere popolare di Bofill, e seguire poi il suo lavoro. Il quartiere fantascientifico e utopico di Ricardo Bofill, nella Banlieue parigina, non ebbe tanta fortuna a livello abitativo/sociale e più volte rischiò di essere abbattuto fino al momento in cui però, fu rivalutato per la saga cinematografica HUNGER GAMES.

Una scena di “Metropolis”, di Fritz Lang

Tuttavia Gianfri (ma anche io) saremmo andati a vivere là anche se solo per un po’. Gianfri amava Parigi e chi più di Philippe Starck poteva rendere interessante, trendy, innovativo e figo girare per la città e frequentare quei luoghi, i pomeriggi al Costes Cafe accanto al Centre Pompidou, e poi andare a curiosare nei ristoranti THEATRONNEL O MANIN, fare ovviamente un giro nel negozio di Gautier, in Place des Victoires, e poi partecipare alle serate scatenate de Les Bains Douches. Quindi ecco che anche Philippe Starck con i suoi oggetti insieme a Grace Jones, Greta Garbo, Andy Warhol e Marlene Dietrich, ma anche alle caffettiere di Aldo Rossi, si ritrova nelle cartoline e nei disegni di Gianfranco. Il regista che invece è stato al centro dei nostri discorsi in quei giorni degli anni 80 è Peter Greenaway, era tra i registi più prolifici! Credo in assoluto che per Gianfri fosse il più interessante di tutti in quel momento perché mescolava con uno stile unico. elegante, inconfondibile tutte le discipline artistiche che ci toccavano nel profondo che ci facevano emozionare, che sentivamo nostre e che avremmo per sempre portato nel cuore. GREENAWAY era il mago che Gianfri avrebbe voluto come maestro: CINEMA, ARTE, LETTERATURA, STORIA MODA, NUOVE TECNOLOGIE, MUSICA: da Hieronymus Bosch, a Jean Paul Gautier, da Micheal Nyman alle utopie architettoniche di Boullée, non c’erano più confini e limiti artistici, tutto poteva essere contemplato, ammirato in un magico calderone che rendeva l’artefice del progetto un’artista a 360 gradi.

Ci sarebbero moltissime, cose da dire e raccontarvi ancora, davvero tante, e ognuno dei suoi amici sicuramente avrebbe simpatici, divertenti e colti aneddoti con cui ricordare Gianfranco Pagliaro. Io vi lascio con altre immagini e musica, quella che ascoltavamo. E se lui ci fosse ancora so che in questi giorni avremmo insieme riso e criticato il nuovo video clip di Madonna, giudicandola però sempre una gran FIGA; saremmo stati contenti della storia di vero amore tra Lady Gaga e Bradley Cooper, e non ci sarebbe piaciuto troppo il nuovo outfit e guardaroba di Beyoncé disegnato da Thierry Mugler. Ah e poi, sì, mi avrebbe chiesto se mi piacciono i Maneskin e Achille Lauro che stanno imperversando alla radio, sulle copertine di Vogue, Vanity, su Rolling Stone e ai concerti. E gli avrei risposto: Ma, Gianfri… CERTO CHE Sì, ovvio!

Tiziana Finzi, autrice di questa lettera, è Cinema & Visual Art Curator per il Teatro Miela Bonavventura di Trieste.

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