di Terry Passanisi

È simpaticamente paradossale, riflettevo oggi, che spesso si provi a normalizzare una questione tanto grave e violenta come uno stupro, o altri tipi di violenza fisica o sessuale nei confronti di soggetti più deboli, o certe sanguinose stragi familiari, provando a giustificare tutto come un comprensibile (sic) momento di follia, di perdita di controllo, di ‘raptus’ indomabile.
Le parole creano mondi, del resto, e dovrebbero bastarci a capire come gira quello in cui viviamo e con che lunghezza d’onda di pensiero, ormai, abbiamo a che fare. Il linguaggio nasce prima del nostro mondo e della nostra contemporaneità sociale e dovrebbe essere chiaro a tutti, giudici, avvocati, legislatori, giornalisti e pubblico da casa, che dalla parola ‘raptus’ – vi dice niente l’inglese ‘rape’? – deriva la parola ‘ratto’ che in italiano, oltre che ‘rapimento’, ‘sorcio, bestia, mostro’ vuol dire ‘stupro, violenza bestiale’; come quello delle Sabine, o di Proserpina. Come si fa a cascare in questo tranello? Come si fa, riflettevo oggi, a giustificare un ‘raptus’ per colpa di un ‘raptus’?
